Repubblica: “Palermo, una voce dalla tana del branco: «Qui l’abuso sul debole è norma»”

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sullo stupro di Palermo.

Nessuno stupore, dice, nell’apprendere che i sette indagati per lo stupro di Palermo appartengono all’area che si estende da via Montepellegrino fino alla costa di Vergine Maria. Con tutto quello che sta nel mezzo. «Da dove – precisa – sono venute fuori anche cose buone». Accadeva quando lei, Anna Di Leo, era ancora una ragazza e gli ultimi strascichi del boom economico consentivano di sognare scuole, cantieri navali, negozi alla moda e appartamenti col parquet. Oggi settantenne, la ex insegnante ha visto quei sogni disfarsi sotto i suoi occhi, quando da adulta ha fondato un’associazione proprio per lavorare lì. Crescita Civile, così si chiamava, e dai primi anni Novanta fino al 2013 ha visto volontarie, psicologhe e assistenti sociali tentare di salvare i figli e le figlie dal contesto divenuto improvvisamente fragile. O forse lo era sempre stato, dietro la cortina di belle
vetrine.

«Ma ne abbiamo salvato solo uno», aggiunge. Uno su centinaia. E tra loro di certo anche due piccoli Maronia (Christian Maronia è uno dei sette stupratori del “branco”, ndr), gli altri probabilmente pure: «Tutti sono passati da noi», spiega, perché il presidio, aperto grazie a fondi ministeriali, «veniva utilizzato come servizio di babysitteraggio gratuito da mamme, nonne e zie che volevano essere libere. Alcune passavano intere giornate al bingo». I non salvati sono diventati i protagonisti di storielle più o meno brutte, di pagine di cronaca, di atti giudiziari, di video di scorribande pubblicati su TikTok. Nessuno stupore. Perché dietro l’ideazione, la partecipazione e la condivisione dello stupro di gruppo avvenuto lo scorso 7 luglio al Foro Italico non c’è goliardia né una particolare forma di disagio giovanile: «C’è una diffusa cultura dell’abuso su chi è più debole, della sessualità esibita sin da quando erano piccoli e si masturbavano tutti insieme», ricorda. E non manca «l’esaltazione della vita criminale e della mascolinità confermata dalla musica che ascoltano».