L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sul la scomparsa di Giuseppe “Peppino” Tedesco.
Con Giuseppe “Peppino” Tedesco, i cui funerali sono stati celebrati ieri nella chiesa del Villaggio Santa Rosalia, se ne è andata anche una parte di quel calcio d’altri tempi che oggi è una istantanea sempre più sbiadita per chi l’ha praticato e, soprattutto, un fenomeno impensabile per chi quell’epopea non l’ha vissuta se non nei ricordi dei padri e dei fratelli più grandi. Erano gli anni del Malvagno, il campo all’interno del parco della Favorita del quale la famiglia Tedesco, nonno Totino prima negli anni Sessanta, e papà Peppino dopo, sono stati l’anima. Definirli solo gestori sarebbe riduttivo. I Tedesco erano soprattutto i curatori di quello che, nella Palermo che i campi di calcio se li sognava, era un pezzo praticamente raro. Non unico perché altri esempi c’erano in alcuni quartieri della città, ma certamente prezioso anche se a guardarlo bene faceva pensare a gesta di pionieri dello sport.
Erano gli anni di chi il calcio, e lo sport più in generale, lo praticava invece di guardarlo solo in televisione magari stravaccato sul divano. Tempi nei quali freddo, vento e pioggia ma anche scirocco e caldo torrido, non erano certo d’impedimento se avevi affittato il campo o se avevi una partita di torneo da giocare. Sulle ceneri del Malvagno si era pensato di fare un centro per il rugby. Proposta bocciata perchè l’area ricade in una zona che adesso è riserva naturale. E così il Malvagno è diventato un cattedrale nel deserto abbandonata. Un monumento al degrado. Insomma, con la bara che ieri mattina ha ospitato Giuseppe Tedesco defunto è come se sia stata seppellita anche la giovinezza di intere generazioni di palermitani. Un’età spensierata che non c’è più. Come non c’è più il Malvagno di una volta.