“Quel regolamento di conti tra gli ultras rosanero sventato”

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sul blitz al Borgo Vecchio, riportando la presenza di Cosa Nostra nei rapporti tra i gruppi organizzati della curva rosanero:

“Il Palermo in serie D, la ferita del fallimento della vecchia società ancora aperta e l’incertezza sul ritorno in tempi brevi nel calcio che conta non hanno certo aiutato a stemperare gli animi lo scorso autunno, uno dei più caldi per il tifo organizzato rosanero, trascorso fra il furto di sciarpe e magliette da parte dei tifosi del Nola, la maxi rissa fra ultras rosanero nella trasferta di Palmi, gli striscioni contestati al ” Barbera” e una resa dei conti a mano armata al Politeama in pieno giorno evitata per un soffio dai carabinieri del nucleo investigativo che stavano ascoltando i protagonisti. “Eh e che dobbiamo fare? Ci dobbiamo scendere non ci dobbiamo scendere?… Io ho già tutto qua… i dolcini tutti dentro i souvenir dentro la macchina, pronti, pronti». Dolcini intesi come proiettili che uno degli ultras della Curva Nord 12 si era procurato insieme alle armi in pochissimo tempo per andare al rendez vous del Politeama. “Sono qua, stanno salendo e sono venuti pure armati… sono pure armati!!!”, ascoltano i carabinieri nelle intercettazioni. Stava per succedere il finimondo al Politeama il 18 novembre scorso, ma prontamente i carabinieri hanno inviato un paio di gazzelle in zona, facendo saltare l’agguato.


Un’escalation di violenza che dimostra come i tre gruppi ultras (Ultras Palermo 1900 fondato e guidato da Johnny Giordano, Curva Nord Inferiore con il suo leader Pasquale Minardi e Curva Nord 12 con a capo Fabrizio Lupo e Saverio Bevilacqua) hanno cercato in tutti i modi di diventare egemoni di una curva che dagli anni ‘80 non è mai stata unita e compatta. Una curva dove il metodo mafioso del chiedere la mediazione dei “cristiani” c’è sempre stato, ma non si era mai arrivati ad andare agli incontri armati.

«Questo dimostra l’estrema pericolosità del gruppo ultras ” Curva Nord 12″ – scrivono il procuratore aggiunto Salvatore De Luca e le sostitute Amelia Luise e Luisa Bettiol nel decreto di fermo che ha portato in carcere per mafia 20 mafiosi di Borgo Vecchio – All’interno del quale militano soggetti in grado di armarsi velocemente per risolvere questioni interne, per niente connotate dalla cosiddetta ” mentalità ultras” ma che appartengono, al contrario, ai principi di bande armate, in grado di compiere le loro vendette in maniera cruenta». Se l’indagine ha accertato un filo diretto fra tifo organizzato e clan mafiosi, allo stesso tempo ha escluso ogni coinvolgimento della nuova società che in una nota “condanna duramente ogni condotta criminale, collegata allo stadio Renzo Barbera e alle attività della squadra rosanero. La società ha già dato mandato ai propri legali di valutare la costituzione di parte civile ed ogni utile iniziativa in tutte le sedi opportune”.


Per ora nessuno dei tre gruppi ultras è riuscito a prevalere anche per l’intervento dei mafiosi di Borgo Vecchio. «Queste cose non devono esistere! Perché qua si sta arrivando al punto che la curva va a restare vacante, perché neanche entra alcuno allo stadio! Siccome ora si devono evitare tutte queste cose», ammoniva i capi del tifo organizzato Jari Massimiliano Ingarao, braccio destro e nipote del boss di Borgo Vecchio Angelo Monti.


Pur non essendo il “Barbera” loro territorio e pur non avendo alcun ritorno economico dal comporre le dispute, la famiglia di Borgo Vecchio accettava di essere il punto di riferimento per i capi ultras. Ma con l’approccio della “camurria” da tenersi per questioni di equilibri mafiosi. Chi non ne voleva sapere di questioni da stadio era il boss Angelo Monti che ha sempre delegato il nipote Jari Ingarao: “Io non gli voglio parlare, gli dici: io non l’ho visto a mio zio… mio zio non si fa vedere… sia l’uno che l’altro… già che gli do confidenza”, ripeteva il boss al nipote ogni volta che gli ultras lo cercavano. Una sola volta è intervenuto in prima persona, i giorni successivi al regolamento di conti del Politeama. Con il rischio che si arrivasse a sparare nel cuore di Palermo, ha accettato di incontrare i capi dei tre gruppi, costringendoli a una tregua, che dura ancora.