L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sul degrado di Villa Sperlinga.
L’altalena un po’ sbilenca, i giochi in legno corrosi dal sole, i topi che qua e là fanno capolino, il terreno arido, rifugio occasionale per i clochard, marciapiedi divelti e le tartarughe della fontana annaspano nell’acqua melmosa e fetida. È il quadro desolante che offre villa Sperlinga, uno degli spazi verdi iconici più frequentati della città, la cui denominazione, nonostante tutti l’abbiano sempre chiamata così, dall’ottobre scorso risulta sui registri della toponomastica cittadina.
«Questa notizia dovrebbe rassicurare noi cittadini sulla gestione di una villa che, invece, non può più definirsi tale — lamenta Giovanni Moncada dell’associazione Movimenti civici Palermo — Parliamo piuttosto di una landa desolata, con alberi piantati nei mesi scorsi moribondi per mancanza di acqua e di cure, con una fontana che non è più una vera fontana ma uno sporco acquitrino malsano, dove le tartarughe muoiono soffocate nelle acque melmose, circondata da una siepe con due pericolosi varchi, senza protezione, dove si affacciano i bambini».
E non basta: «Per dare identità ad un sito iconico — continua Moncada — fare gesti simbolici, come quello di inserire lo spazio verde
nella toponomastica o intitolarlo a qualche personaggio illustre, perché il verde ha bisogno di cure, di manutenzione, di attenzione. A Palermo basta guardarsi intorno per capire che la gestione del verde è estremamente carente, sotto tutti i punti di vista».