Repubblica: “Palermo. L’odissea dell’Anagrafe. Un giorno intero in coda per la carta d’identità”
L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sull’odissea all’anagrafe di Palermo.
Un uomo, una donna e una ragazzina arrivano davanti all’ufficio comunale di viale Lazio. C’è molto traffico, come sempre. E infatti hanno lasciato la macchina in doppia fila. Lo storico ufficio Anagrafe è ancora chiuso, ma non per loro. Da una porta secondaria esce un impiegato che sorridente li saluta e li fa entrare. La porta si richiude immediatamente. Sono le 14.40, l’ufficio che si occupa di rilasciare le carte d’identità apre alle 15. Chissà cosa devono fare quell’uomo, quella donna e quella ragazzina.
Se lo chiedono le decine di persone che dalla tarda mattinata sono in fila aspettando di entrare e conquistare l’agognato documento, la tessera che rivela quello che ciascuno sa da sempre: come si chiama, dove è nato e quando. Ma ottenere la carta d’identità a Palermo comporta lunghe attese, giornante di lavoro mandate a monte e la consapevolezza che i diritti, nella quinta città d’Italia, sono qualcosa di esclusivo ed escludente Quando alle 15 si apre il portone, l’elenco mette insieme una quarantina di cognomi. L’impiegato che accoglie gli utenti ha un tesserino appeso al collo ma è girato dalla parte del retro: è solo un rettangolo di plastica bianca che balugina con la luce del primo pomeriggio. Sarà a lui molto utile, l’anonimato, quando rivolgendosi agli astanti comunicherà la ferale notizia: «Signori, oggi allo sportello per le carte d’identità c’è solo un impiegato quindi molti di voi non riusciranno a combinare niente. L’ufficio chiude alle 16,30».
Qualcuno alza la voce, qualcun altro non ha nemmeno la forza di farlo. «Io non c’entro niente – si giustifica l’impiegato – e non faccio nemmeno parte di quest’ufficio. Non prendetevela con me» Un cinquantenne racconta di essersi messo in coda per la carta d’identità della figlia, parla della sua moto ape che ogni mattina carica di frutta e verdura da vendere nelle borgate, si lamenta per la giornata di lavoro che ha “appizzato”, cioè ha perso, per un documento che probabilmente non otterrà. Una donna trentenne, appena chiamata dall’anonimo impiegato comunale, prova a farsi largo mentre tiene un bambino in braccio: «Sono con mia sorella – dice – fate passare anche lei». La folla si apre e arriva un’altra giovane mamma che spinge un passeggino. Il suo bambino piange perché il vento tira forte e irrita gli occhi. Erano lì sul marciapiede da almeno due ore. Prenderanno il turno elimina code sperando di non essere accompagnate alla porta per sopraggiunta chiusura dell’ufficio.