L’edizione odierna de “La Repubblica” ripercorre gli anni del Palermo, un secolo di promozioni da Radice a Benetti e Toni.
Ecco un estratto:
C’è un Palermo che appartiene al record dei record, quello che nella sua quinta avventura in serie A, la prima del dopoguerra, fermò il grande Torino campione d’Italia. Una partita leggendaria che resta il simbolo del mito rosanero. E c’è un nuovo Palermo che, faticosamente e con passione, tenta di rimettersi sulla scia di quella storia. Magia del sentimento. Una città ferita, disincantata e sorda ad ogni richiamo, dal 12 maggio, ritorno play-off con la Triestina, si è risvegliata entusiasta e felice.
Ritrovata la voce dei tifosi, Palermo urla di gioia. Come se fosse la prima volta. Invece, sono tante le grandi vigilie vissute in passato. Ripercorriamo oggi le nove sinfonie dalla B alla A, quasi un augurio per i prossimi impegni, tra curiosità, fatti e protagonisti. Nel 1931-32, la prima favola. Francesco Paolo Barresi, costruttore edile, conferma l’allenatore Cargnelli e il bomber Radice (al secondo posto come goleador di tutti i tempi in una sola stagione con Brunori che l’ha raggiunto dopo 90 anni) costretto in seguito a fuggire per via di una relazione extraconiugale con una nobile palermitana.
Il 24 gennaio del 1932, sospinto dalla propaganda fascista, venne inaugurato lo stadio Littorio, successivamente Favorita e Barbera, nella gara vinta per 5-1 contro l’Atalanta. Ma è l’ungherese Feldmann, che subentra a Cargnelli, esonerato dopo due sconfitte in trasferta, a portare i rosa in A. Sedici anni dopo, presidente è il barone Stefano La Motta, allenatore Virginio Rosetta, emblema della Juve e campione del mondo; stella della squadra il boemo Vycpalek. Giorni di gioia, anche per il ritorno alla normalità dopo la guerra. Il gestore di un cinema proietta il film luce sull’evento nella sala gremita all’inverosimile e deve ripeterlo più volte perché la fila è lunghissima.
L’eco del suicidio — siamo nel 1955-56 — del mitico Raimondo Lanza di Trabia è ancora viva. Trentacinquemila i tifosi all’esordio, quarantaduemila il massimo stagionale, la guida Carlo Rigotti, cuore granata, amico e compagno nel Toro dell’attore Raf Vallone, sottolineata da ben tredici vittorie su diciassette per 1-0 (altre tre comunque di misura; una sola con lo scarto di due gol). Leader e capitano, Vittorio Bergamo, il più vecchio, con le sue trentatré primavere, una lunga carriera prima e dopo la guerra (vissuta tra gli alpini), ruolo centrocampista. Proprio Bergamo, che si faceva chiamare “colonnello”, ogni domenica notte, sempre brillo, gira all’ultimo piano dello stadio dove dormono i giocatori, con una bottiglia di liquore e un fucile: allo squillo di tromba del suo attendente Gianni Sandri, due promozioni in A, attaccante più veloce del pallone, il giovane di turno deve alzarsi e salutare. Se non lo fa, il colonnello scarica pallettoni contro la porta!