Repubblica Palermo: “6.000 in celle sovraffollate, ecco la polveriera carceri”
L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulla situazione delle carceri. La bomba a orologeria è una polveriera fatta di 6.590 vite. Uomini e donne, non figure senza volto e neanche sempre colpevoli: perché nelle carceri siciliane che ribollono di rabbia per la paura del Coronavirus, un detenuto su cinque aspetta ancora il primo giudizio e intanto vive dietro le sbarre. In uno spazio che la legge prevederebbe più grande: i penitenziari dell’Isola ospitano infatti più persone di quante potrebbero contenerne, e le rivolte come quelle di Pagliarelli — che custodisce 1.377 detenuti a fronte di una capienza teorica di 1.182 — fotografano una situazione in cui il sovraffollamento è il fuoco su cui finisce la benzina della paura. Ciascuno di loro ha a disposizione meno di 2 metri per tre. E per l’associazione Antigone, che monitora la condizione delle carceri, lo spazio è solo uno dei problemi: «In questi giorni — dice il presidente dell’associazione in Sicilia, l’ex deputato Pino Apprendi — è stato dato fuoco a una miccia che covava da sempre. Non è solo il sovraffollamento: ai detenuti vengono fornite in ritardo medicine e visite mediche, e senza contatti con l’esterno, la paura per i familiari può fare il resto». Tanto più che i detenuti non sono sempre condannati in via definitiva. Anzi: lo sono in poco più di un caso su due, visto che 1.305 su 6.590 sono in attesa del primo giudizio e altri 1.210 aspettano comunque una sentenza definitiva. Costituzione alla mano innocenti, fino a prova contraria: «In un caso su due — scandisce Apprendi — i processi si concludono con l’assoluzione. Ma anche se fossero condannati il punto è l’umanità delle condizioni di detenzione: nel carcere agrigentino di Petrusa, ad esempio, piove all’interno delle celle». E dire che anche nella città dei Templi il sovraffollamento è ordinaria amministrazione: 359 detenuti contro i 283 di capienza teorica. « In queste condizioni — prosegue il referente di Antigone — mantenere le distanze è impossibile. E il contagio può arrivare da fuori».