L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sull’arresto di Matteo Messina Denaro.
Cosa sarà passato per la testa dell’uomo più ricercato d’Europa quando l’affabile infermiere che lo accoglieva in clinica e con il quale scambiava saluti, opinioni e perfino motti di spirito, gli ha chiesto di fare un selfie? Sarà scattato nella mente di Matteo Messina Denaro, allenata da sempre al sospetto, un allarme che suonava più o meno così: “E questo chi è? E se la mia faccia finisce tra le mani di quelli che mi stanno cercando da trent’anni e per i quali sono nient’altro che un fantasma?”. Oppure le sue difese, trasmesse per ereditarietà di codici mafiosi, si erano talmente abbassate da non considerare questo rischio? O, infine, la sensazione di impunità cresciuta a dismisura nel corso dei tre decenni passati a farsi beffe di chi lo cercava in ogni angolo d’Italia e non solo, era arrivata al punto da consentirgli la beffa suprema ai cacciatori che ne seguivano le tracce?
Di certo c’è, che il selfie del boss con l’infermiere fornisce materiale inedito agli appassionati di fenomenologia del comportmento mafioso. E può perfino alimentare il dibattito su come è cambiata la mafia. Sì, perché la prima reazione sarebbe quella di affidarsi al titolo dell’ultimo film di Franco Maresco, il regista di “Cinico tv”, “Belluscone” e altri meravigliosamente urticanti racconti della realtà siciliana: “La mafia non è più quella di una volta”. Dunque, al di là della strumento adoperato- il selfie col telefonino in luogo della macchina col rullino da sviluppare – il super ego da impunità costruita negli anni (se di questo si tratta) di Matteo Messina Denaro richiama alla mente il comportamento di quei padrini spazzati via dai mitra corleonesi negli anni Ottanta. Con un dubbio non da poco, però: se quei padrini fossero stati latitanti ricercati dalle polizie di mezzo mondo dotate peraltro di sofisticati mezzi per l’identificazione delle persone, avrebbero ceduto alla richiesta di una foto? Delle due l’una, se da questo selfie inconsueto si vuol trarre una conclusione: o il boss che cede all’autoscatto con lo smartphone dimostra che anche in questo la mafia – sorretta dalla persistente sensazione dell’impunità – adegua sé stessa ai tempi che cambiano, oppure quella foto mostra un radicale attenuamento delle cautele omertose dei boss.