L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma su Matteo Messina Denaro e il giallo dei controlli ai posti di blocco.
«Il posto migliore per nascondere qualcosa è in piena vista». È forse Edgar Allan Poe, e la sua Lettera rubata, la lente migliore per leggere la storia di Matteo Messina Denaro e (ma anche, o) di Andrea Bonafede, quella del boss più temuto della criminalità organizzata internazionale e quella di un geometra timido che dava i salvagenti ai ragazzini in un acquapark sfigatissimo dell’entroterra siciliano. Perché questa non è la storia di una fuga ma, piuttosto, quella di una sostituzione. È la più grande caccia degli ultimi trent’anni a un uomo che, però, non c’era. Semplicemente perché era diventato un altro. Il nascondiglio perfetto: scattava selfie, aveva amici e amiche, comprava vestiti nelle migliori boutique della città e, sembrerebbe, riusciva a dribblare anche i controlli delle forze di Polizia. Nessuno si è accorto di lui quando hanno arrestato una trentina di persone accanto alla casa dove viveva. Ma di più: Matteo Messina Denaro potrebbe essere stato fermato a un posto di blocco e lasciato andare.
Nei database risultano infatti un paio di controlli stradali a quell’Andrea Bonafede che nessuno saprà mai se era il boss o il bagnino. Il geometra o l’uomo più ricercato al mondo. Per capirlo è cruciale sapere quello che “Andrea Bonafede” ha fatto in questi anni. Acquisti, viaggi, movimenti bancari. A suo nome non risultano società. C’è invece almeno un conto corrente, acceso all’ufficio postale, quello dal quale è stato emesso il vaglia con cui è stata acquistata la casa. Il conto era alimentato da versamenti in contanti che Bonafede (quello vero) ha raccontato di ricevere volta per volta dal boss. Lui andava allo sportello e versava. Senza che nessuno, come invece probabilmente avrebbe dovuto, inviasse una segnalazione di operazione sospetta.
Su quel conto era appoggiato anche un bancomat che Messina Denaro utilizzava con frequenza: per esempio pagava le colazioni al bar delle sue “compagne” di chemioterapia. È possibile non fosse l’unica carta a disposizione del boss. A Bonafede erano intestate anche le schede telefoniche che Messina Denaro utilizzava senza discrezione (le sue amiche-pazienti avevano il numero). Con un’accortezza, però: ogni qual volta arrivava a Palermo spegneva i cellulari in modo da non dare alcuna indicazione. Il geometra Bonafede era uno che non si muoveva mai da Campobello.