Repubblica: “Macron «Difendo la solidarietà. Senza un’Europa unita non vinceremo il virus»”
Il presidente francese Emmanuel Macron ha accettato ieri di rispondere a una serie di domande scritte di “La Repubblica” “Il Corriere della Sera” e “La Stampa” nella prima intervista a media stranieri da quando è cominciata l’emergenza sanitaria e nel momento cruciale in cui l’Europa si divide sulla risposta da dare alla crisi coronavirus.
Signor Presidente, con il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte avete chiesto al Consiglio europeo la creazione di Eurobond per fronteggiare una crisi epocale. Germania e Olanda hanno fatto blocco. C’è un rischio d’implosione dell’eurozona e dell’Unione europea? «Con Giuseppe Conte, Pedro Sánchez e altri sei capi di Stato e di governo, abbiamo indirizzato prima del Consiglio europeo una lettera a Charles Michel per inviare un messaggio chiaro: non supereremo questa crisi senza una solidarietà europea forte, a livello sanitario e di bilancio. Questo è il punto di partenza. Gli strumenti vengono in seguito e dobbiamo essere aperti a questo proposito: può trattarsi di una capacità di indebitamento comune, quale che sia il suo nome, oppure di un aumento del bilancio dell’Unione Europea per permettere un sostegno reale ai paesi più colpiti da questa crisi. Al Consiglio di giovedì dieci Paesi dell’eurozona, rappresentanti del sessanta per cento del suo Pil, hanno esplicitamente sostenuto quest’idea, è la prima volta! Alcuni paesi, tra cui la Germania, hanno espresso le loro reticenze. Abbiamo deciso di continuare questo fondamentale dibattito, al più elevato livello politico, nelle prossime settimane. Non possiamo abbandonare questa battaglia. Preferisco un’Europa che accetti divergenze e dibattiti piuttosto che un’unità di facciata che conduce all’immobilismo. Se l’Europa può morire è nel non agire. Come Giuseppe Conte, non voglio un’Europa del minimo comune denominatore. Il momento è storico: la Francia si batterà per un’Europa della solidarietà, della sovranità e dell’avvenire».
Qual è il tempo massimo che l’Europa può attendere e a quanto dovrà ammontare lo shock di rilancio? Alcuni economisti parlano di almeno mille miliardi di euro.
«Non voglio focalizzarmi su una data né su una cifra, non avrebbe alcun senso. La forza di Mario Draghi quando parla di «whatever it takes» nel 2012 risiede proprio nel fatto che non dà cifre, ma un segnale di un’azione determinata e illimitata. In questa crisi, sul piano economico, l’Europa ha preso due decisioni molto forti, molto velocemente. Sul piano monetario, la Banca centrale europea ha deciso un programma di sostegno massiccio, inedito. Sul piano di bilancio, abbiamo detto che faremo tutto ciò che è necessario e abbiamo iniziato a realizzarlo in ciascuno dei nostri paesi. Quello che manca ora, è un segnale chiaro di azione coordinata e solidale. L’Unione europea, l’eurozona, si riassume forse in un’istituzione monetaria e in un insieme di regole, molto flessibili, che permettono ad ogni Stato di agire per conto proprio? Oppure si agisce insieme per finanziare le nostre spese, i nostri bisogni in questa crisi vitale? Voglio che si faccia pienamente questa scelta di solidarietà. La cifra è secondaria, è questo segnale che conta, attraverso l’indebitamento comune o il bilancio comune. Non siamo stati capaci di raggiungere questo traguardo durante la crisi finanziaria. Dobbiamo esserne oggi all’altezza». L’ex presidente della Bce, Mario Draghi, raccomanda che i governi europei assorbano il contraccolpo economico anche a costo di un forte aumento del debito pubblico. Condivide la ricetta proposta da Draghi? «Ho letto con grande interesse l’intervento pubblicato da Mario Draghi. Condivido la sua lettura della crisi e credo che dica esattamente questo: i governi nazionali devono agire senza limiti e la solidarietà europea deve fare la propria parte. Dice anche che l’Europa ha tutte le risorse per farcela, un sistema finanziario solido e un servizio pubblico di qualità. L’unica questione è la sua volontà di agire, di farlo insieme e di farlo velocemente. È per questo che lotto con Giuseppe Conte in particolare». Più in generale come giudica il lavoro alla guida della Bce della francese Christine Lagarde, criticata per le sue dichiarazioni sullo spread? «Lo approvo e lo sostengo. Gli annunci del 19 marzo erano coraggiosi e indispensabili. A che punto saremmo oggi se la Bce non avesse agito con così tanta forza? Questo dimostra anche una cosa: che quando l’Europa ha delle istituzioni forti e gli strumenti per agire, siamo tutti vincitori. È una delle lezioni che dobbiamo trarre per il dopo-crisi». Il 6 marzo lei era al teatro Antoine con sua moglie, mandando ai francesi il messaggio che “la vita continua”, mentre l’Italia dichiarava già 4.636 casi confermati e 197 decessi. Perché avete ignorato i segnali d’allarme provenienti dall’Italia e avete così ritardato le misure di isolamento “all’italiana” che si sono poi rivelate necessarie? «Non abbiamo assolutamente ignorato tali segnali. Ho affrontato questa crisi con serietà e gravità fin dall’inizio, quando è iniziata in Cina. L’ho affrontata anche con lucidità e umiltà, nel rispetto di quel che sono le nostre società: delle società democratiche e aperte, dove l’informazione deve essere trasparente, le restrizioni alle nostre libertà spiegate ed equilibrate. Ad ogni tappa ho seguito tre principi essenziali: fondare le nostre decisioni su pareri scientifici, adattarsi alle evoluzioni della crisi, prendere misure proporzionate. Quando si guarda alla crisi dall’inizio, abbiamo preso in Francia le misure più forti e al più presto. Abbiamo adottato, dinanzi a un numero di casi simile, le misure di restrizioni sociali qualche giorno prima dei nostri partner europei. Non me ne do alcun merito. È perché la scienza ci ha illuminato e l’Italia ci ha preceduto in questa crisi che abbiamo potuto trarne le lezioni per noi stessi. Abbiamo imparato dalle esperienze dolorose del vostro Paese e dalle decisioni coraggiose prese dal vostro governo. Molti Paesi europei giudicavano eccessive tali restrizioni, oggi tutti le attuano perché sono indispensabili nella nostra guerra contro il virus».
Lei ha detto più volte che l’Europa aveva abbandonato l’Italia durante la crisi dei migranti. Ma l’Italia, il Paese più colpito dall’epidemia, si è sentita abbandonata ancora una volta dai suoi partner europei. Perché un Paese vicino e amico come la Francia non ha inviato prima gli aiuti? «Sì, ribadisco ciò che ho detto poiché l’Europa non è stata all’altezza nelle precedenti crisi e mi assumo anche, in parte, la responsabilità della Francia. Ma voglio anche aggiungere, per mettere le cose in chiaro, che noi europei abbiamo spesso tendenza a vedere solo le nostre mancanze e le nostre debolezze. La Francia è al fianco dell’Italia. È per questo che ho tenuto a recarmi a Napoli il 27 febbraio, nonostante l’impennata dell’epidemia. Abbiamo proposto dei posti letto ospedalieri nel Sud della Francia e abbiamo inviato materiale sanitario. L’Europa, nel suo insieme, ha reagito prima e in modo più deciso rispetto ad altre crisi del passato. Quando la Bce agisce, ad esempio, ci protegge tutti ed è una forma di solidarietà». L’Italia ha ricevuto aiuti da regimi autoritari quali la Cina, la Russia e Cuba. Non crede si tratti di un simbolo scioccante?
«Si parla molto degli aiuti cinesi o russi, ma perché non si dice invece che la Francia e la Germania hanno inviato 2 milioni di mascherine e decine di migliaia di camici in Italia? Oggi lanciamo bandi europei per l’acquisto congiunto di mascherine e respiratori. Sarà forse insufficiente, ma è già un inizio e non dobbiamo lasciarci intossicare da ciò che raccontano i nostri partner e concorrenti internazionali. Dobbiamo anche dire che, viceversa, gli europei hanno soccorso la Cina all’inizio dell’epidemia, quando era la più colpita, inviando più di 50 tonnellate di materiale. L’Europa deve essere fiera e sentirsi forte, perché lo è. Ma deve andare ben oltre. Ecco perché difendo una solidarietà di bilancio nella gestione della crisi e delle sue conseguenze. Alcuni Paesi si comportano come se l’Italia o la Spagna ne fossero responsabili: al contrario, sono le prime vittime e questo virus non risparmierà nessuno. Ciò che mi preoccupa è la malattia del “ciascuno per sé’’. Se non siamo uniti, l’Italia, la Spagna ed altri Paesi potrebbero giustamente dire ai loro partner europei: dove eravate mentre noi eravamo al fronte? Io non voglio un’Europa egoista e divisa». Gli Stati membri dell’Ue non si sono coordinati nel predisporre misure per limitare la pandemia. Auspica un approccio comune per la revoca delle misure di isolamento nei vari Paesi, considerando che una mancanza di concertazione rischierebbe di vanificare gli sforzi e di rimettere in circolazione il virus nello spazio europeo? «Assolutamente, dobbiamo sin da adesso anticipare e coordinare le misure di uscita dalla crisi sanitaria. Certo, queste misure dovranno essere adattate a ciascun Paese. Non chiederemo agli italiani o ai francesi, che hanno subìto le misure restrittive prima di altri Paesi europei, di rimanere bloccati in attesa degli altri. Ma se non ci scambiamo informazioni su queste misure, se non le coordiniamo, avremo un problema politico e sanitario. È d’altronde ciò che abbiamo chiesto di fare alla Commissione europea nella lettera dei nove Paesi inviata mercoledì e che abbiamo messo agli atti al Consiglio Europeo giovedì». Molti cittadini in Francia e in Italia si chiedono se ritroveranno ancora uno spazio europeo senza frontiere e se potranno tornare a vivere come prima. Che cosa ne pensa?
«Per quanto riguarda le frontiere interne all’Unione europea, come quella che abbiamo con l’Italia, abbiamo scelto di non chiuderle perché le nostre vite personali e professionali e le nostre economie sono integrate. Dobbiamo fare tutto il possibile per fermare la diffusione del virus, ma sempre agendo da europei: coordinare le nostre misure sanitarie, chiudere le nostre frontiere esterne per evitare di esportare e di importare nuovamente il virus, mantenere il più possibile le nostre frontiere interne aperte per lasciar passare i lavoratori e i beni essenziali, dare prova di una solidarietà finanziaria e, domani, ridurre la dipendenza dell’Europa nei settori produttivi strategici, come le medicine e le attrezzature mediche. So che gli italiani e i francesi condividono questa battaglia e questa speranza nell’Europa. E voglio ribadire la mia amicizia al popolo italiano che sta dando prova di molto coraggio in questo momento difficile».