L’edizione odierna de “La Repubblica” ha riportato un’intervista a Luca Ficarrotta il quale parla anche di uno dei suoi miti, ovvero Alessandro Del Piero. Ecco di seguito tutte le risposte dell’attaccante rosanero:
Domani, però, Luca Ficarrotta avrà l’opportunità di partire titolare nel suo stadio.
«Ogni volta che per andare a Mondello passavo davanti alla Favorita – racconta Ficarrotta – mi immaginavo quanto sarebbe stato bello giocarci dentro. Finalmente sono riuscito a coronare questo sogno».
Ficarrotta, cosa rappresenta per lei il “Barbera”?
«Sono palermitano, giocare nel Palermo è sempre stato il mio sogno. Da piccolo avevo la possibilità di farlo, poi ho preso altre strade preferendo andare a Torino. Non perché in quel periodo la Juventus offrisse molte più opportunità rispetto a quel Palermo, ma perché ero giovane e volevo fare un altro tipo di esperienza. Oggi a 29 anni ho avuto questa occasione e non me la sono fatta scappare, giocare al “Barbera” è sempre stato mio sogno».
Rifarebbe quella scelta?
«Ho imparato tanto, non so cosa sarebbe accaduto se fossi rimasto a Palermo. Ma avevo 14 anni e con i miei genitori, ascoltando anche i suggerimenti di alcuni addetti ai lavori, ho scelto di lasciare casa. A Torino sono diventato un uomo. Ho imparato tantissimo e non solo a livello calcistico».
Ma non hanno puntato su di lei. Le dispiace?
«Mi sarebbe piaciuto avere qualche possibilità in più, ma ho fatto tanti errori. A volte da piccolo fai cose delle quali poi da grande finisci per pentirti. E che magari cambiano il tuo percorso. Ma ora non voglio più pensare al passato, a Torino e alla Juventus. Ora c’è il Palermo: sudo e lotto con orgoglio per questa maglia quando l’allenatore mi chiama. Anche solo per uno, due, cinque o venti minuti come a Nola».
C’è chi l’ha definita una testa calda. Sono gli errori di cui parla?
«Da piccolo avevo qualche atteggiamento sbagliato. Magari ti capita litigare con un compagno in allenamento oppure a scuola. Piccole cazzate che qui potrebbero passare inosservate o come marachelle e che lì giustamente non ti fanno passare perché sono severi e inflessibili. Però non sono una testa calda, potete chiedere in tutti gli spogliatoi in cui sono stato. Quest’etichetta forse è nata perché forse ero una testa calda in campo, anche se forse è meglio dire che da giovane ero più istintivo. Se mi passava per la testa di reagire e dare uno schiaffo lo facevo. Ma ora a 29 anni con una famiglia e un bambino sono un’altra persona. Sono cresciuto con gente che ha fatto calcio ad alti livelli e chi mi ha dato tanto anche a livello umano».
Chi le ha insegnato di più?
«Ho imparato tanto da Alessandro Del Piero, a Torino ci allenavamo un paio di volte a settimana con la prima squadra. Una persona umile che quando arrivavi nello spogliatoio ti salutava, ti parlava, si informava su come andavano le cose. Lui mi ha insegnato davvero tanto. Anche nel Palermo mi confronto con calciatori esperti come Crivello e Santana solo per fare due nomi. Nel Palermo sto bene, cresco, sono nella mia città, lotto per la mia maglia e spero di rimanere più a lungo possibile con questa squadra per dimostrare chi sono veramente. Non mi basta vincere il campionato, ho 29 anni e penso di avere ancora sei, sette al massimo otto anni di carriera. Vorrei seguire il Palermo ovunque e chiudere la carriera in rosanero».
Pensavo facesse il nome di un allenatore.
«Con gli allenatori non è che nella mia carriera sia andato tanto d’accordo. Alcune volte ci scappa il battibecco. Forse è per questo che mi hanno dato l’etichetta di testa calda, ma alla fine nel calcio ci sta che un giocatore abbia un confronto con il suo tecnico. Non è che quando ti grida in campo e tu rispondi significa che state litigando. L’unico che mi ha insegnato tanto è stato Pippo Romano. L’ho avuto a Noto, è stato importante per me».
Quanto pesa e al tempo stesso la gratifica la maglia rosanero?
«È pesante perché sono palermitano, non sto giocando spesso e sento che non riesco a dare il mio contributo come vorrei.
Ma nelle squadre costruite per vincere è normale. Chi non gioca deve farsi trovare pronto e chi non va in campo deve aspettare l’occasione giusta per indossare la maglia rosanero».
A proposito, ancora quella ufficiale non l’avete né indossata. Com’è l’attesa?
«La voglia è tantissima, ma è normale: sono i nostri colori, quelli della squadra della nostra città. Il nostro simbolo. È normale che ci sia voglia di farlo e non vedo l’ora di indossare la mia maglia dentro il mio stadio davanti a 25 mila spettatori. Ma non possiamo fare altro che aspettare».
Senza calcio come sono le sue giornate?
«Normalissime, penso solamente a casa, famiglia e tanta playstation. Sono un padre di famiglia e mi piace stare con mia moglie Emily e mio figlio Bryan che ha cinque anni. Per la verità all’anagrafe è Gaspare come mio padre, ma per tutti è Bryan. Lo vado a prendere a scuola, andiamo a sbrigare le cose di tutti i giorni. Penso di essere una persona come tante altre».