Repubblica: l’Italia e il virus “Con i viaggi e le vacanze il Covid circola di più. I casi cresceranno ancora”
L’emergenza Coronavirus in Italia e nel mondo non accenna a fermarsi. Con le vacanze e il flusso costante di turisti, il Paese sta avendo un considerevole aumento di contagi. L’edizione odierna di “La Repubblica” fa il punto della situazione con le parole dell’epidemiologa, Stefania Salmaso. Di seguito le quanto detto dall’epidemiologa: «I Paesi sono vasi comunicanti. Se gli infetti crescono attorno a noi, cresceranno anche da noi». A preoccuparla è il fatto che dai dati dei contagiati non abbiamo spremuto tutte le informazioni che ci avrebbero permesso di navigare con più certezze. «Abbiamo avuto 250 mila casi e ancora non sappiamo quale sia il rischio delle singole situazioni in cui siamo esposti al contagio».
L’epidemiologa ha continuato dicendo: «Ne sapremmo di più, se avessimo raccolto i dati in modo coordinato. Invece ancora oggi non esiste uno strumento tecnologico valido in tutto il Paese per registrare i dati dei casi e dei loro contatti».
Il ritardo nelle zone rosse è stato attribuito anche a una stima troppo bassa dei contagi in Lombardia?
«In quel momento di massima incidenza niente è da escludere. Non sono al corrente dei numeri, ma nonostante tutti invitassero a prepararsi per tempo, l’epidemia ci ha colto in contropiede. Le Asl hanno risposto al meglio. Hanno messo a punto in tutta fretta moduli per la raccolta dati che però non sempre sono stati registrati elettronicamente in modo standard. Le informazioni a volte sono finite su fogli excel locali.
Le Regioni inviavano i numeri di casi, tamponi e decessi alla Protezione civile per il bollettino quotidiano, ma i dati più dettagliati confluivano in tempi diversi all’Istituto superiore di sanità. L’informazione si è dispersa in mille rivoli, mentre sarebbe stata preziosa per organizzare la risposta».
E oggi? Se fossimo chiamati a stabilire zone rosse o chiudere scuole, avremmo dati affidabili?
«Dovremmo essere più pronti ad agire. Abbiamo una sanità federale, ma è troppo importante fare scelte e raccogliere dati in modo coordinato.
In questi mesi abbiamo investito molto in macchinari per malati gravi e terapie intensive. Avremmo dovuto fare di più anche per i servizi di epidemiologia e prevenzione.
Bastano un tablet con moduli di raccolta dati uguali per tutti e squadre di personale addestrato a condurre le interviste sui contatti dei positivi. Costano poco e sono utili per controllare la circolazione del virus e interrompere le catene di trasmissione».
La preoccupano i dati della settimana appena passata?
«Era strano che l’Italia rimanesse con pochi casi, visto che siamo circondati da Paesi con numeri importanti».
Colpa delle vacanze?
«Il lockdown di marzo aveva congelato l’epidemia. Il virus circolava al Nord ed è rimasto abbastanza confinato lì. È stato un risultato importante. Oggi viaggi e vacanze rimescolano le carte. I contagi si stanno ridistribuendo fra Nord e Sud e fra Italia ed estero».
Abbiamo 700 focolai. Troppi?
«Non facciamoci illusioni, il virus circola bellamente e se trova un’occasione per contagiare, non la perde certo. La situazione oggi è meno grave dal punto di vista clinico, ma nulla esclude che possa tornare a peggiorare. La circolazione per focolai è un momento di transizione fra le fasi della pandemia. Non ci permette di stare tranquilli, ma non è grave come la circolazione che chiamiamo diffusa: la situazione di marzo in molte aree del Nord, in cui il virus è riuscito a contagiare più di un quarto della popolazione. Tutto dipenderà da quanto riusciremo a circoscrivere i casi e interrompere le catene di trasmissione».
Abbiamo capito come il virus si trasmette?
«Non basta passare accanto a un infetto per un attimo. Ci sono individui molto contagiosi e situazioni più propizie per la trasmissione. Parliamo di eventi di superdiffusione, in cui un solo positivo infetta un gran numero di persone. Ignoriamo invece che peso abbia il contagio all’interno delle famiglie, se quindi un malato debba essere allontanato dalla sua casa, e quanto abbiano influito gli asintomatici in Italia. L’indagine nazionale di sieroprevalenza ci ha mostrato che i lavoratori rimasti attivi durante il lockdown non si sono infettati più di quelli chiusi in casa, e che il rischio è stato concentrato in specifiche aree geografiche. Ma ignoriamo ancora quanto potranno essere rischiose le scuole. In Israele c’è stato un grande focolaio perché, in un’ondata di caldo, è stato permesso agli alunni di togliere le mascherine».
C’è un calo di cautela nei giovani?
«Le cautele devono restare per tutti.
Distanza, mascherine e lavaggio delle mani sono d’obbligo, e lo resteranno per parecchio. Forse i messaggi della comunità medica e scientifica non sono stati abbastanza concordi».
C’è un’asticella oltre la quale scatteranno nuovi provvedimenti?
«Non c’è un valore definito. La Norvegia ha preso come livello di allarme i 20 contagi ogni 100 mila abitanti. Ma da noi non c’è una soglia vera e propria e siamo lontani da quelle cifre».