Repubblica: “L’epidemiologo «Il virus in Sicilia non dilaga, ma si deve tenere la guardia alta»”

L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta le dichiarazioni dell’epidemiologo Salvatore Scondotto «In Sicilia non c’è un chiaro trend in crescita del contagio, ma non bisogna abbassare la guardia sui rientri. Tutti i casi siciliani si sono originati con contatti da zone a rischio. È necessario il rispetto delle norme di comportamento e di limitazione dei contatti sociali nell’interesse dei familiari e di tutta la nostra comunità. Quando è atteso il picco? Al momento l’andamento si limita a oscillazioni giornaliere plausibili nella logica dei piccoli numeri, ma non c’è un trend in chiaro aumento, come invece si è verificato sin dall’inizio nelle regioni del Nord». Il presidente dell’Istituto superiore di sanità parla però di una possibile impennata al Sud a causa dell’esodo degli scorsi giorni e dei comportamenti sconsiderati dei più giovani. Non vi preoccupa? «Fortunatamente le misure restrittive in Sicilia sono intervenute più precocemente che in altre regioni, di fatto anticipando la circolazione del virus. Ma non bisogna abbassare la guardia: per questo è necessario un richiamo ferreo al rispetto delle norme di comportamento, non soltanto nell’interesse di conviventi e familiari, ma di tutta la nostra comunità». Al portale della Regione si sono registrati 20mila siciliani al rientro. Quanti contagi potenziali prevedete da questo flusso? «Siamo stati la prima Regione italiana a dotarsi di uno strumento del genere, e ciò ci consente di avere un quadro chiaro. Tutti i soggetti rientrati hanno l’obbligo di segnalare la loro presenza alle Asp, al medico e al proprio Comune e di mantenere un regime di quarantena. È ancora presto per dirlo e dobbiamo osservare il trend futuro, ma se tutti osservano strettamente le limitazioni possiamo limitare nuovi contagi». In Sicilia siamo passati da zero a dieci intubati e due morti in tre giorni. Dobbiamo aspettarci un’impennata? «In base ai dati della Protezione civile nazionale, ancora la Sicilia è al di sotto della media italiana per percentuale di soggetti in Terapia intensiva». La Sicilia rischia di più, visto il disagio sociale diffuso e l’età media alta della popolazione? «Stiamo assistendo a una particolare diffusione in tutte le fasce di popolazione, ma data la limitata circolazione dei casi in Sicilia è ancora presto per fare ipotesi». Mille posti letto in più e 200 dedicati di terapia intensiva: è il piano della Regione. Per quanti casi basteranno? «C’è una notevole eterogeneità tra regioni nel ricorso all’ospedalizzazione. Se guardiamo ad esempio il Veneto, dove l’incidenza è dodici volte maggiore che da noi, si sono osservati a oggi circa 100 ricoveri in Terapia intensiva su 1.600 casi. Direi quindi che al momento siamo in margini di ragionevole prudenza». Ha ancora senso parlare di focolai di importazione oppure ormai abbiamo focolai autoctoni? «I casi siciliani si sono originati da contatti con le aree a rischio. Si tratta di cluster generati da singoli contatti da cui sono scaturiti molti contagi. In questa fase è fondamentale, in Sicilia più che altrove, risalire ai potenziali contatti provenienti da quelle aree, proprio perché è necessario bloccare la catena di trasmissione tempestivamente». Quando cominceremo ad avvertire i benefici del contenimento sociale? «Fra almeno due o tre settimane. In Sicilia il rispetto delle regole è più importante che altrove in questo momento in cui la circolazione del virus è ancora limitata».