Repubblica: “Lega e Fratelli d’Italia parte l’attacco a Gravina la destra vuole il pallone”

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulle polemiche contro Gravina da parte del governo.

C’è una parte della maggioranza di governo che da ieri vuole la testa di Gabriele Gravina: Lega e Fratelli d’Italia. Obiettivo: cambiare il pallone. E, soprattutto, liberare una poltrona molto ambita, quella di presidente della Federcalcio. Il primo sasso l’ha lanciato il partito di Salvini con una nota: «Cosa deve accadere ancora per rivoluzionare la guida del movimento? È sempre più necessario, per rispetto di milioni di appassionati e in particolare dei più giovani, un radicale cambiamento a partire dalle dimissioni del presidente Gravina». Per Fratelli d’Italia si è esposto il responsabile dello sport, Paolo Marcheschi, invocando non le dimissioni ma il commissariamento: «Il calcio italiano ha necessariamente bisogno di un’opera autoriformatrice e il fenomeno delle scommesse rappresenta solo la punta dell’iceberg. La soluzione non è la richiesta di dimissioni di Gravina, quanto verificare se vi siano le condizioni di un commissariamento della Figc da parte del Coni».

Il fuoco incrociato racconta di una intricata partita politica che si muove intorno ai vertici della Figc. Fra la Lega e Gravina i rapporti sono tesi da tempo: Salvini vuole ripulire la federazione dalle “incrostazioni Pd”, come le definisce lui. Il riferimento è ad alcune figure ritenute non allineate, evidentemente. Come Lorenzo Casini, ex capo di gabinetto di Franceschini al ministero della Cultura, però eletto alla presidenza della Lega Serie A con il sostegno di Claudio Lotito, oggi senatore forzista e da sempre grande avversario di Gravina. O il comunista col loden Renzo Ulivieri, presidente degli allenatori italiani, che si immortalò in un selfie mentre alzava il dito medio sotto la Trump Tower a Chicago, già candidato di Sel al Senato nel 2018 e in una lista di sinistra alle regionali toscane, nonché biscugino (sic) di Eugenio Giani, contro cui però ha perso. Sì, ma Gravina? La sua compagna Francisca Ibarra (sorella di Maximo, ex ad di Sky e Wind oggi in Engineering) nel 2019 si era candidata alle regionali in Abruzzo con una lista civica a sostegno di Legnini e della coalizione di centrosinistra.

Con invidiabile equilibrismo, Gravina negli anni ha tenuto buoni rapporti con tutte le forze politiche senza schierarsi tout court: sulmonese d’adozione, è  una delle idee del Pd e M5s come candidato forte del campo largo per le regionali del 2024 in Abruzzo: ipotesi smentita dall’interessato, che da imprenditore ha interesse a restare neutrale. Per il Carroccio è il bersaglio ideale, anche perché la Lega è rimasta quasi a bocca asciutta nella manovra in cui Fratelli d’Italia ha messo le mani sullo sport italiano. All’interno del partito di Meloni, Gravina può ancora contare su appoggi importanti. Il ministro Abodi nel 2017 fu il frontman della coalizione messa in piedi proprio da Gravina per sfidare il compianto Tavecchio alla presidenza Figc. E ieri Abodi ha tagliato corto: «Dimissioni di Gravina? Questa è una posizione della Lega e di altri parlamentari, ma io sono concentrato sulle emergenze».

Sabato scorso, nella partita della Nazionale a Bari contro Malta, Gravina era in tribuna accanto al senatore Melchiorre e al sottosegretario Gemmato, due big del partito con cui dialoga, e bene. E da Giorgia Meloni ha incassato la benedizione per l’Europeo 2032 da organizzare a metà con la Turchia di Erdogan. Ma in Fratelli d’Italia non mancano i nemici giurati. Ad esempio Salvatore Caiata, ex 5 stelle, eletto fra i deputati di FdI: ex presidente del Potenza, rivendica un posto nel Consiglio della Figc in quota Lega Pro (al posto di Giuseppe Pasini, promosso in B con la Feralpisalò) in quanto primo dei non eletti all’ultima tornata. Ha portato avanti una battaglia legale in Figc senza successo: proprio martedì il Tribunale federale ha dichiarato improcedibile il ricorso e dunque serviranno nuove elezioni. Lo stesso Marcheschi, politico, tifoso viola e dj, da tempo è oppositore di Gravina: nel 2015, a meno di un mese dal voto, si candidò alla presidenza della Lega Pro di cui era stato subcommissario. Si presentò a sorpresa come terzo uomo, contro Gravina e Pagnozzi. Sembrò a molti una manovra per pescare fra gli scontenti nella fazione di Gravina ed eroderne il consenso, con la benedizione di Lotito. Prese 7 voti, Gravina fu eletto con 31.

Poi c’è Marco Mezzaroma, presidente del Cda di Sport & Salute, la cassaforte dello sport italiano, nominato dal governo a luglio. Mezzaroma era presidente della Salernitana di proprietà di suo cognato Lotito: dopo averla portata in A è stato co stretto a venderla da Gravina, nel rispetto delle norme federali. Non fu un affare. E, a proposito di cognati, raccontano che sia il ministro Lollobrigida in persona il grande tessitore della tela in cui dovrebbe cadere il capo del calcio. Gravina, il cui mandato scade nel 2025, ha resistito alla mancata qualificazione ai Mondiali 2022, gode di una maggioranza solida in Consiglio federale e non ha alcuna intenzione di farsi da parte. Ieri ha incassato la fiducia dei suoi alleati in Federcalcio, da Calcagno (Assocalciatori) a Marani (Lega Pro), da Abete allo stesso Ulivieri. Quanto al commissariamento, le norme lo contemplano in casi limitati: gravi violazioni dello statuto, malversazione, incapacità di eleggere gli organi federali. E l’uomo che dovrebbe occuparsene, Giovanni Malagò, l’ha escluso: «È importante che la politica si occupi di sport, ma questo non significa che debba occupare lo sport». Nelle stesse ore, Malagò e il governo cercano un rimedio alla figuraccia del no alla pista di slittino a Cortina, fra la soluzione di Cesana e l’ipotesi di una ridistribuzione delle gare fra Milano e Cortina. Un’altra sfida fra la politica e lo sport italiano, dove ognuno vuole la sua parte.