Repubblica – “L’allarme degli epidemiologi. Il mistero dei superdiffusori: «Sono loro il vero pericolo»”
L’edizione odierna del “La Repubblica”, raccoglie alcune dichiarazioni dei principali esperti nella lotta al coronavirus in Italia.
Massimo Galli, direttore dell’ospedale Sacco di Milano parla così: «Purtroppo i superdiffusori non hanno un alone attorno che ci permette di riconoscerli». Sospettiamo, anche se non siamo sicuri, che si tratti di individui con carica virale alta. Sarebbe comunque utile che la stima della carica virale sia specificata nei referti. Le persone possono così regolarsi».
Il microbiologo dell’università di Bologna e della Ausl Romagna Vittorio Sambri e quello dell’università di Padova Andrea Crisanti si uniscono a Galli.
Sambri spiega come: «Il tampone positivo contiene una certa quantità di virus. In laboratorio lo facciamo replicare. Da una copia ne otteniamo due, da due quattro e così via, per 40 volte. Quando si raggiunge una quantità soglia, il test rileva il virus. Se questo avviene al 28esimo ciclo, la persona ha una carica alta. Se avviene al 40esimo, è minima. Dividiamo i tamponi in 4 classi a seconda del ciclo di replicazione in cui compare la positività. I risultati possono variare in base al metodo : c’è un errore del 15%. Ma potremmo, con un secondo test, prendere le cariche più alte e quantificarle con più precisione».
Crisanti spiega: «La carica virale dipende molto dal momento in cui si fa il tampone. Dopo il contagio aumenta, poi ridiscendere verso la coda dell’infezione. A Milano, nei mesi scorsi, hanno annunciato che i contagiati avevano cariche virali basse e la malattia era diventata più lieve. Molti in realtà erano tamponi effettuati sulla scia dei test sierologici positivi, quindi su persone avviate verso la guarigione. Si tratta di asintomatici o quasi. Altrimenti non andrebbero in giro. Per ora riusciamo a rintracciare i superdiffusori solo a posteriori, ricostruendo le catene di contagio».