Repubblica: “La nuova guerra. Attacco alla centrale nucleare. E a Chernobyl scienziati ostaggi”
L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulla Guerra in Ucraina.
Quattro gocce di iodio in un mezzo bicchiere di latte sono la medicina (fai da te) contro l’ultima follia di Putin: il tiro al bersaglio sulle centrali nucleari. «In alternativa, le gocce si possono applicare nell’incavo di pelle tra il dito indice e il medio», spiega con una certa convinzione Tamara, 27 anni, manager di cantanti, in coda davanti alla farmacia che affaccia sul boulevard Lesi Ukrainky di Kiev. Una fila per acquistare ansiolitici e prodotti contenenti iodio: la misura dell’angoscia in cui è precipitata un’intera nazione. Aggredita da terra, dal mare e dal cielo. E, ora, minacciata dall’incubo radioattivo. Al giorno otto della guerra, al nemico visibile si affianca quello invisibile.
Le truppe di Mosca si erano già prese l’impianto di Chernobyl poche ore dopo l’invasione del 24 febbraio. Da allora non si sa che fine abbiano fatto i cento fisici e ingegneri ucraini che erano dentro a lavorare, gli unici che sanno come gestire il materiale radioattivo (griglie, superfici, scorie) tuttora presente. Adesso anche la centrale di Zaporizhzhia, la più grande d’Europa, è finita in mani russe, dopo un’operazione militare folle, considerando la delicatezza del luogo in cui è avvenuta. La scorsa notte le spetsnaz, le forze speciali, hanno cinto d’assedio il sito sulla riva sinistra del Dnepr fino a quando un proiettile di artiglieria pesante, forse sparato da un carro armato, ha sventrato la palazzina dell’amministrazione. Si è incendiata come una torcia, a 400 metri da sei rettori atomici.
Sparare un missile vicino a un nocciolo di uranio non è mai una buona idea, ma farlo in Ucraina significa risvegliare spettri del passato e la corsa a pericolosi rimedi alternativi anti-radiazioni. La Russia si è impadronita di due delle quattro centrali nucleari che forniscono il 60 per cento del fabbisogno energetico necessario all’Ucraina per non spegnersi. È la prima volta nella Storia che le forze armate ne colpiscono deliberatamente una. Il Cremlino smentisce e prova a scaricare la colpa su non meglio definiti «gruppi di sabotatori ucraini», ma una telecamera di sicurezza ha ripreso tutto. Per alcune ore si è avuta la netta sensazione di essere sull’orlo di una seconda Chernobyl. All’alba, però, il Centro regionale per la prevenzione delle malattie di Zaporizhzhia ha comunicato che il livello delle radiazioni era rimasto invariato, invitando i cittadini «a mantenere la calma e a non acquistare i preparati a base di iodio in farmacia e il sale iodiato nei negozi». Kiev, la capitale sul cui destino pende una colonna di mezzi cingolati lunga 60 chilometri, al risveglio è traumatizzata. Ottanta metri sotto la città, nella fermata Universitet di una metropolitana diventata rifugio antibombe, Masha, 44 anni e un cane di nome Max che tiene sulle gambe, ha visto la famiglia con cui condivide il vagone leggere la notizia sul telefonino, alzarsi, raccogliere le poche cose sparpagliate sul materaso, e puntare dritta alla stazione centrale.