Repubblica: “La mano di Maradona e la maglietta mai più lavata. Un napoletano a Palermo”

L’edizione odierna de “La Repubblica” racconta la storia di Enrico, un napoletano che vive e lavora a Palermo il quale ha parlato dello scudetto vinto e su Maradona.

Avevo 8 anni quando, per motivi di lavoro di mio padre, sono stato costretto a lasciare Napoli. Primo trasferimento a Trieste, poi Livorno ed infine Palermo, città che non finirò mai di ringraziare per come mi ha accolto, crescendomi come se fossi suo figlio. Il mio cuore, però, è e sarà per sempre azzurro, l’amore infinito che ho verso la squadra del Napoli è tanto immenso quanto, forse per i più, incomprensibile. Sono pazzo di lei, sono malato di lei, piango per lei anche quando gioisco per lei; solo per lei ho fatto e farò follie fino a quando ne avrò la forza, come quando la andai a trovarla a Gela, dopo il fallimento, sapendola triste e bisognosa di affetto. Il minimo che potessi fare dopo tutto quello che lei aveva fatto per me, come il fatto di avere convinto il più grande giocatore di tutti i tempi ad indossare la nostra maglia e regalarmi momenti di indescrivibile felicità. Maradona, lo incontrai trentanove anni fa, era il 22 agosto del 1984, di li a poco ci sarebbe stato il suo esordio con il Napoli in Coppa Italia.

Passeggiavo lungo via Caracciolo con un mio caro amico, Enrico, anch’egli grande tifoso del Napoli, quando ad un tratto ci accorgemmo che decine di ragazzini con sciarpe e bandiere stazionavano davanti all’Hotel Vesuvio in attesa di qualcosa o di qualcuno. Capimmo che era Lui il motivo della loro presenza e così decidemmo di entrare facendo finta di essere dei clienti dell’albergo; rimanemmo nella hall senza dare nell’occhio per oltre dieci minuti, fino a quando come d’incanto si aprirono le porte dell’ascensore e scorgemmo prima Claudia, sua moglie con in braccio il loro cagnolino, e poi Lui. Rimasi paralizzato per circa 30 secondi fino a quando Enrico mi mise in mano un taccuino ed una penna facendomi capire di andare a chiedergli un autografo.  Con il cuore che mi batteva in gola mi avvicinai e riuscii a sussurargli semplicemente Diego…si girò, mi guardò e con pò di insofferenza mi diede una pacca sulla spalla salutandomi. Lì per lì ci rimasi male, mi chiesi: perchè non mi ha voluto firmare un autografo? Ma quando Enrico mi disse «ti ha toccato» capii che mi aveva fatto un regalo ancora più grande. La maglietta che indossavo toccata da Diego, ovviamente non è stata mai più lavata nè indossata, la conservo ancora gelosamente”.