Repubblica: “La battaglia contro il Virus. Italia costretta a richiamare i medici. Il pensionato «Mai tirarsi indietro. In sala operatoria anche a 85 anni»”

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulla “chiamata alle armi” dei medici in pensione. «Quando nella vita si decide di fare il medico, se c’è bisogno ci si deve mettere in gioco. Chiamarsi fuori è incoerente con il giuramento di Ippocrate. Io l’ho fatto nel lontano 1961 ma mi ricordo ancora bene cos’è». Giampiero Giron, 85 anni, veneziano d’origine, già professore ordinario e primario di anestesia e rianimazione a Padova, risponde all’appello della sanità veneta. Servono professionisti in grado di gestire il lavoro nelle terapie intensive e lui si dice pronto, ancora una volta. Come lo fu il 14 novembre 1985, quando dovette praticare l’anestesia a Ilario Lazzari, il primo trapiantato di cuore in Italia. Professor Giron, davvero le hanno chiesto la disponibilità a tornare in sala operatoria? «Un primario dell’azienda ospedaliera di Padova mi ha chiesto se, in caso di necessità, potesse contare su di me. E io ho risposto sì». Non pensa che sia un rischio, per un uomo della sua età, venire a contatto con pazienti contagiati dal coronavirus? «Chi ha paura di ammalarsi è meglio che non faccia il medico. Le occasioni di contrarre patologie sono molte. Se penso a quanti chirurghi si sono beccati l’epatite. Fa parte del gioco». A 85 anni crede di avere ancora la lucidità che serve per questo mestiere? «Io penso di poter ancora fare le cose come si deve. Finché mi sento in grado di gestire ciò che faccio, continuerò a farlo. Alla prima incertezza mi fermerò». Lei non ha mai smesso di lavorare, neanche in pensione. «Penso che la pensione sia la morte civile, quindi mi sono dato da fare. Sono direttore sanitario di una clinica privata a Mestre e continuo ad andare in sala operatoria quasi ogni settimana». Lei era in sala operatoria anche in occasione del primo trapianto di cuore: storia della medicina italiana. «Era notte fonda, dovemmo aspettare il consenso del Ministero. Ricordo tutto come fosse ieri. C’era Vincenzo Gallucci accanto a me. Con un colpo di defibrillatore il cuore nuovo iniziò a battere. Ci fu un applauso generale». C’è qualche altro passaggio importante della sua carriera? «Quando ho iniziato non c’era separazione tra chirurgia e anestesia: un medico faceva il chirurgo e anche l’anestesista. Io posso dire di aver fondato all’università di Padova l’istituto di anestesia e rianimazione come disciplina autonoma». Tornando all’emergenza, cosa pensa dei giovani laureati in medicina subito abilitati alla professione? «Penso che si diventa medici con l’esame di Stato. Quando mi laureai io l’esame di Stato e non si poteva fare nella stessa università. Lo dovetti fare a Bologna, perché avevo studiato a Padova. Questo paese aveva delle regole molto belle ma la severità è andata persa». E delle specialità cosa pensa? «Così come sono strutturate sono un’immensa sciocchezza». Chi è più efficiente tra un neolaureato e un pensionato? «Molto dipende se chi va in pensione continua ad aggiornarsi. Se un professionista non si aggiorna allora il neolaureato può perfino risultare migliore». Cosa pensa di questa pandemia? «Pestilenze nella storia dell’umanità ce ne sono state tante. Questa è una delle tante. Verrà ricordata come viene ricordata l’asiatica del ‘58». Crede che la chiameranno per entrare in servizio, in questi giorni? «Io ho detto che ci sono. Tengo il telefonino sempre in mano, per rispondere subito se c’è bisogno». Il suo è stato più un lavoro o una missione? «Ho fatto il medico come meglio ho potuto, anche se devo dire la verità ho scelto questa professione perché il mio papà ci teneva molto. Dirigeva una filiale Comit a Campo San Bartolomeo a Venezia. Non me la sentii di tradirlo. Se avessi dato retta ai miei sogni, avrei fatto il fisico e quindi l’astronauta». Come hanno reagito moglie e i suoi tre figli a questa sua disponibilità? «Sanno quanto amo il mio lavoro. Mi hanno detto semplicemente di fare attenzione».

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Redazione Ilovepalermocalcio