Repubblica: “Italia, le mascherine a prezzi gonfiati. Sistema in tilt tra sciacalli e burocrati”
L’edizione odierna di Repubblica, parla della situazione Coronavirus in Italia. In quel mare di squali che è il mercato mondiale delle mascherine, l’Italia rischia di fare la parte del tonno. Siamo il Paese più aggredito dal coronavirus, eppure ospedali, autoambulanze e farmacie continuano a soffrire e a denunciare l’indisponibilità dei dispositivi di protezione individuale. Le famose mascherine, soprattutto. Siamo il Paese dei 17 medici morti e dei 3.359 contagiati tra dottori e infermieri, e siamo preda di speculatori, italiani e internazionali. Di ditte che annullano i contratti perché «abbiamo finito le scorte». E poi quelle stesse scorte vengono offerte da intermediari a centosessantasei volte il prezzo di prima. È successo in Emilia, in Toscana, in Puglia e continua a succedere nel resto d’Italia. Il governo si muove in ordine sparso: ha creato una sovrastruttura (il Commissario agli acquisti e alla produzione) su un apparato di compratori — Protezione civile, Consip, le Regioni, le singole Asl, fondazioni benefiche — che intasano il mercato, si fanno concorrenza e, soprattutto, non portano a casa il risultato. A differenza di molti altri Stati nel mondo: Canada, Brasile e Iran su tutti. Partiamo da un numero: diciannove milioni. Sono le mascherine che la Protezione civile era convinta di aver reperito e che invece sono evaporate dal giorno alla notte, i contratti siglati dall’ufficio acquisti bruciati per colpa del miglior offerente: un compratore più ricco, più potente. O solo più rapido. Non è un caso isolato, è una prassi. La Lombardia, per coprire le esigenze delle sue strutture sanitarie, ha bisogno ogni giorno di 300 mila mascherine chirurgiche (quelle di primo livello, monouso, che dopo 4 ore vanno sostituite), in Emilia ne servono 250 mila. Ci sono infermieri – scrive il quotidiano -costretti a indossare la stessa mascherina per giorni. Il capo della Protezione civile Angelo Borrelli ha stimato in 90 milioni di pezzi il fabbisogno mensile dell’Italia, una cifra ad oggi inarrivabile nonostante la stessa Protezione civile abbia contratti in essere per 56 milioni, ne abbia già trovate 8 milioni e ne distribuisca alle Regioni in media 1,2 milioni al giorno. Di tutto questo ben di Dio si trovano poche tracce sul territorio. Nelle Asl di Roma, per dire, da giorni vanno avanti con mascherine di carta, inadeguate, di produzione autoctona e qualità scarsa. Se parliamo poi delle mascherine di tipo professionale (FFp2 e FFp3) la situazione è — se possibile — peggiore. Più ci si allontana dalla zona rossa, più gli squali si agitano. Perché si rischia meno. A Bari a ottobre, dunque prima dell’esplosione cinese del Covid-19, la Asl bandisce una gara per l’acquisto dei dispositivi di protezione individuale. Per quanto riguarda le mascherine, si aggiudica la partita la 3M, la multinazionale americana quasi monopolista del settore. Per le FFp3, quelle con la valvola, le migliori, viene indicato un prezzo: 1,25 euro l’una. La quantità assicurata per le sole FFp3 è di 18 mila, mentre complessivamente i pezzi richiesti sono 40 mila circa, con la possibilità di ampliare l’ordine. Arriviamo a gennaio, e la Asl, viste le notizie che arrivano dalla Cina, ne ordina altri 30 mila. L’azienda ne invia 5 mila. «Scorte finite», dicono. Contemporaneamente, però, piovono le proposte di otto società, alcune delle quali lavorano stabilmente con la 3M, che offrono mascherine 3M. A un prezzo un po’ diverso rispetto a quello (1,25) della gara: dai 6 ai 10 euro l’una. «Nelle forniture diamo priorità alla Protezione civile — spiega l’azienda a Repubblica — abbiamo lasciato invariati i prezzi ma non possiamo controllare gli altri rivenditori». L’Emilia ha ordini per 30 milioni di euro, ma non ha ancora visto risultati. E all’ufficio acquisti si sono presentati intermediari che proponevano l’”affare”: mascherine a 5 euro, 166 volte il prezzo reale. In Toscana, la Mediberg srl vince un bando a 3 centesimi a pezzo. Dopodiché la situazione precipita, la ditta lamenta l’impossibilità di reperire il tnt, il materiale di cui sono fatte, e la Regione si aggrappa a chi gliele propone a 1,6 euro. Del resto, alla Consip non hanno strappato prezzi migliori, anzi: hanno messo su una gara in fretta il 9 marzo, per il lotto 6 chiedevano una fornitura di 24 milioni di mascherine, ne hanno trovate solo 7,7 milioni (prodotte da Betatex, Benefis e Icr) al costo di 2 euro a pezzo. Il paradosso è che le mascherine sono tutt’altro che un bene indisponibile. La Cina ne è piena e milioni di pezzi ogni giorno vengono spediti nei Paesi le cui amministrazioni sono più rapide a chiudere i contratti. Brasile e Usa, soprattutto. In Italia regna invece la confusione, tant’è che — nonostante la pletora di soggetti deputati all’approvvigionamento — il miglior risultato potrebbe raggiungerlo il ministro degli Esteri Di Maio che sta lavorando a un maxi-stock di 100 milioni di mascherine (29 centesimi per le chirurgiche, 1,50 euro per le Ffp3) con la Cina. Dovrebbero cominciare ad arrivare in Italia la prossima settimana. Eppure da giorni i centralini di Invitalia e Protezione civile sono presi d’assedio da imprenditori che vantano contatti con aziende cinesi fornitrici di mezzo mondo. Ma sbattono contro un muro di burocrazia. Repubblica ha consultato l’offerta fatta arrivare da un imprenditore direttamente sulla scrivania del Commissario Domenico Arcuri (ma poi anche di Borrelli) domenica 15 marzo e mai presa in considerazione. In una serie di mail, l’imprenditore italiano in questione, Filippo Moroni, aveva mandato i dettagli di una proposta per la fornitura di 50 milioni di mascherine (un milione al giorno) col marchio “Ce” al prezzo di 0,38 dollari l’una. Si trattava solo di pagare e mandare un aereo militare all’aeroporto di Shenzhen, dove era già disponibile il primo stock. Ma le mail inviate sono rimaste senza risposta e alla fine, mentre in Italia le mascherine continuano a non trovarsi, il consorzio cinese “portato” da Moroni si è accordato per fornire 250 milioni di pezzi per il Brasile e 200 milioni per gli Stati Uniti. I primi sono stati consegnati mercoledì.