L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sull’allarme tamponi. Da un lato aumenta la richiesta nel Paese di test diagnostici, con sempre più voci che chiedono di estendere gli esami a tutto il personale sanitario e le Regioni che progettano controlli più diffusi per aumentare gli isolamenti e quindi limitare l’impatto del virus. Dall’altro però le aziende che producono gli strumenti usati per il prelievo, bastoncini simili ai cotton fioc, e soprattutto quelle che forniscono i reagenti, stanno finendo le scorte. Con l’allargamento della pandemia in Europa e Usa cresce la domanda di materiale. E i tamponi sono la prima cosa richiesta dai servizi sanitari degli Stati per arginare il coronavirus. La concorrenza si allarga e in Italia si teme di non ricevere più il materiale, o averne scarsa disponibilità nel giro di pochi giorni. Un problema che non sembra riguardare certi volti noti, come calciatori, attori e politici che accedono ai test anche se a giudicare dai loro social non hanno sintomi particolari. È il caso, ad esempio, di Dybala della Juve e della fidanzata Oriana, che hanno fatto il test pur avendo spiegato di essere «in perfette condizioni». Mentre il test andrebbe fatto, secondo il Consiglio superiore di sanità, solo a chi è stato a contatto con un caso o un sospetto e ha dei sintomi. Più d’uno, soprattutto nel mondo medico, ha notato questa facilità a ottenere il tampone da parte di alcune categorie, mentre altre, come appunto gli operatori sanitari, chiedono invano di essere esaminate. Ieri è stato il giorno in cui in Italia sono stati fatti più tamponi da inizio epidemia: 27.500, con un numero di positivi analogo a martedì (intorno a 5.200), quando i test sono stati 21.500. Con più tamponi, invece, ci si aspetterebbe un aumento delle diagnosi. Ma il numero di esami per molti non basta. A parte i tanti che in tutta Italia chiedono di farli a medici e infermieri, propongono di farli a tappeto anche 81 sindaci della Città metropolitana di Milano. Hanno scritto una lettera dopo aver parlato con i medici di base e denunciano come «l’epidemia sia più diffusa di quello che appare dai dati ufficiali. Il numero di contagiati, che comprende i molti cittadini a casa con sintomi, che non ricorrono alle cure ospedaliere né vengono sottoposti a tampone, è dunque molto più alto». Si prende a modello il Veneto e si prospetta l’inizio di una “sorveglianza attiva’’, con tamponi a tutte le persone con sintomi. Per l’appunto il Veneto in questo periodo fa quotidianamente molti meno tamponi di quelli promessi dal presidente Zaia. Dovevano essere 11mila, il dato è fermo a circa 4mila. E il futuro non è roseo. «Non solo non si iniziano più a trovare i tamponi ma neanche i reattivi per il laboratorio », spiegano dalla Regione. «Se il tampone in qualche maniera si può reperire, magari producendolo, molto più complesso è avere il materiale per il laboratorio. Le ditte internazionali che ci rifornivano ci hanno fatto sapere che dall’Inghilterra è arrivato un super ordine da 67 milioni di sterline e che per ora non possono darci più di 5mila tamponi al giorno». I test sono usati, due in 24 ore, anche per certificare le guarigioni e quel numero è giudicato insufficiente: «C’è il rischio che non si riescano a fare nemmeno quelli che servono ». Per questo a Padova si sta cercando di produrre un reattivo. Anche la Toscana, dove si fanno, nell’Aretino, i tamponi anche a chi si presenta in macchina, come a Reggio- Emilia, teme di non avere più rifornimenti. Dall’Emilia il commissario per l’emergenza Sergio Venturi spiega: «Non si trovano. Una settimana fa avevamo preannunciato un piano contro il virus che prevedeva di estendere i test a domicilio. Poi la pandemia si è allargata, gli inglesi si sono comprati i reagenti, e così lottiamo quotidianamente per piccole forniture. I tamponi ora ci bastano a malapena per sospetti, coloro che hanno sintomatologia». Fausto Baldanti, direttore del laboratorio di Pavia e membro della task force della Lombardia, ha una posizione diversa: «Da noi sono stati fatti quelli necessari. Per il momento non abbiamo problemi a reperire il materiale, anche se la produzione mondiale non è infinita. Non ci dimentichiamo che la nostra strategia, che sta dando risultati, è quella di identificare i positivi e i contatti e poi creare le zone rosse. Se poi vogliamo fare i tamponi a 60 milioni di italiani, dobbiamo ricordarci che vanno ripetuti ogni 3 giorni, perché nessuno garantisce che chi non è positivo oggi non lo sarà domani».