L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta le dichiarazioni su un audio Whatsapp di una 20enne di Vicari, positiva al Coronavirus e additata dai social come la responsabile del contagio della casa di cura di Villafrati. «Nessuno mi chiede come sto, per tutti sono l’untrice. Non dormo da giorni, non posso credere a tutta la cattiveria che mi sta piovendo addosso: perché inventarsi una storia del genere? Io di questa vicenda sono probabilmente una vittima, di sicuro non sono la responsabile. Il messaggio è diventato virale, è arrivato nei telefoni di tantissima gente. Di bocca in bocca, di post in post, la storia è mutata: io sarei tornata dalla Lombardia, prima di andare a lavorare e contagiare tutti. Peccato che le due versioni non sono vere, io non mi sono mossa da qui. Ho denunciato l’audio alla polizia postale e querelerò i commenti più infamanti che ho visto su Facebook: c’è chi mi ha augurato di essere bruciata con il lanciafiamme, pensate a mio padre quando lo ha letto. Vi racconto la verità e vi assicuro che l’unica colpa che ho avuto è quella di aver scoperto per prima di essere contagiata e forse, grazie alla sorte, di aver prevenuto altri casi in paese». La ragazza studia Scienze motorie a Messina, città da cui manca da inizio febbraio. È tirocinante nella casa di cura di Villafrati, dove si occupa di riabilitazione. «L’ultimo mio giorno di lavoro è stato il 6 marzo, da allora, visto le ultime restrizioni, sono rimasta a casa, dove vivo con la mia famiglia. Il 15 marzo mio nonno, che accudiamo nel nostro appartamento si sente male, ha problemi neurologici, e lo portiamo all’ospedale Buccheri La Ferla di Palermo. Lì gli sale la febbre e i medici gli fanno un tampone: è positivo. Lo fanno anche a me e al resto dei miei familiari e risultiamo contagiati io, mia mamma e mio fratello. Per fortuna non abbiamo sintomi». In quel momento Rita contatta, per correttezza, Villa delle Palme. Qualche giorno dopo, tra domenica e lunedì scorsi, si scoprono i casi nella casa di cura. E scoppia la caccia all’untore. «Io non so da dove sia arrivato il virus. Ma di sicuro io non sono andata in Lombardia e non ho nessun parente che è venuto dal nord. Stavo studiando molto: lavoravo e mi mettevo sui libri, non ho fatto vita sociale. È probabile che qualcuno mi abbia contagiato all’interno della struttura, dove entrava ed usciva tanta gente. Ma questo adesso mi interessa poco, voglio venir fuori da questo incubo: non posso sentimi in colpa, non dormire, leggere che la gente mi vuole uccidere. Per fortuna che i miei amici e il sindaco di Vicari Antonio Miceli mi sono vicini». Rita divide l’appartamento con la mamma e il fratello. Mentre il papà e la nonna, che non sono risultati positivi al Covid 19, vivono nel piano inferiore. «Spero che tutto questo finisca presto. Sogno di camminare per le vie del paese e non vedermi gli occhi puntati addosso. Voglio soltanto continuare a studiare e a lavorare».