L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta le dichiarazioni del virologo Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Cnr di Pavia.
L’epidemia sta maturando?
«Mi aspettavo che raggiungesse il picco già questo fine settimana. Ma nei giorni scorsi la curva ha avuto dei sobbalzi. Purtroppo non ci siamo ancora. Dobbiamo aspettare la prossima settimana e vedere».
Allora in cosa consistono i miglioramenti?
«I nuovi casi, in percentuale sui casi totali, hanno smesso di crescere.
Questo dà alla curva un andamento lineare, tendente all’appiattimento. L’aumento dei positivi va messo in relazione al numero di test fatti. Ieri per esempio abbiamo avuto più o meno gli stessi tamponi del giorno prima, ma meno casi positivi. Resta poi stabile, anzi scende leggermente, il rapporto fra positivi e ricoverati. È comunque un rapporto alto: circa il 50%, soprattutto perché i tamponi vengono fatti a casi già severi. Infine, non aumenta il rapporto fra i ricoverati nei reparti normali e quelli in terapia intensiva. L’ipotesi che il virus sia diventato più aggressivo non ha dunque fondamento».
Nei suoi interventi su Facebook ci invita a non farci prendere dall’ansia, quando ascoltiamo i dati. Non è facile. Lei come fa?
«Il bollettino ci dà numeri freddi, casi sempre in aumento, ogni giorno nuovi morti. Sembra che vada sempre peggio. Ma dobbiamo guardare alle cifre in un arco temporale più ampio. Conoscere è un antidoto all’ansia e ci sono siti, come quello della Fondazione Gimbe, che offrono delle analisi dei dati messe in prospettiva. Io ho un foglio Excel in cui ogni giorno aggiungo i dati freschi e mi creo delle curve con l’andamento dell’epidemia».
Come sono adesso le sue curve?
«Si appiattiscono, hanno smesso di impennarsi, crescono con una pendenza più lieve. Ci sono ogni tanto dei sobbalzi, come in Campania o nel Lazio. Ma restano numeri contenuti. Se ben controllati, possono rientrare in fretta».
L’epidemia nel suo complesso non rientrerà in fretta. Ormai ha dimensioni tali che frenarla sarà come rallentare un treno in corsa.
«Sì, anche perché la malattia dura a lungo. I dati che vediamo oggi fotografano la situazione di due settimane fa. E un freno dei contagi oggi si farà sentire sul numero dei decessi fra 10-15 giorni. A quel punto ci aspettiamo di vedere una crescita del numero dei guariti, che oggi sono circa 1.400, e un calo di quello dei contagi, che oggi sono 3.600, fino a quando la prima curva non supererà la seconda».
Ai tempi della deflagrazione di Wuhan ci interrogavamo sempre sul tasso di replicazione R0. Oggi nessuno lo calcola più?
«Ho visto stime di 0,95. È difficile fare calcoli precisi nel bel mezzo della bufera, ma vorrebbe dire che ogni persona infetta ne contagia meno di un’altra, quindi l’epidemia è in leggera riduzione. Senza misure restrittive, il tasso di replicazione sarebbe rimasto superiore a 2».
Per il futuro cosa ci aspetta?
«La storia delle pandemie, dalle influenze alle epatiti all’Hiv, ci insegna che quando un virus riesce a circolare in tutto il mondo, difficilmente poi scomparirà del tutto. Vuol dire che si è adattato bene alla nostra specie. Questo coronavirus potrebbe risentire delle stagioni e tornare in autunno, magari più blando. Ma resta un’incognita.
Non sappiamo nemmeno se chi è guarito sviluppa una memoria immunitaria permanente. Per sconfiggere davvero il coronavirus avremmo bisogno di un vaccino».