“Lamberto Zauli, tre anni in un Palermo che si affacciava alla serie A e puntava direttamente all’Europa piuttosto che alla salvezza. Quanto è lontano quella realtà dall’attuale? «Mi sembra che parliamo di un mondo completamente diverso dal mio. Anzi abbiamo vissuto proprio l’opposto rispetto al clima di diffidenza che c’è adesso. C’era entusiasmo ed era la stessa società a trasmetterlo con grandi progetti. Tutti se ne rendevano conto, dalla gente comune a tutte le altre componenti della squadra». Eppure è lo stesso presidente e la stessa società: i tifosi, anche in termini di botteghino ed entusiasmo, non sono più così vicini. Come mai? «Il mio Palermo era diverso. La gente dopo quello che è successo l’anno scorso, in cui va detto è stata centrata una grandissima salvezza per come si erano messe le cose, vorrebbe ritrovare un Palermo un po’ più umano. Zamparini invece già lancia stoccate a Ballardini. Il presidente si comportava così anche ai miei tempi, ma quella era una squadra in ascesa e non ci si faceva caso più di tanto. Con la crisi che c’è ci sta che non si facciano più gli investimenti di allora, ma per questo bisognerebbe avvicinarsi di più alla passione della gente». Come? «Se il presidente dice una cosa e l’allenatore un’altra si creano discrepanze che non aiutano la squadra e che allontanano i tifosi. Investire sui giovani stranieri non è un male, ma si deve cercare più qualità e spiegare chiaramente come stanno le cose». I tifosi putano il dito anche sui consulenti stranieri di Zamparini. «I tifosi notano quello che c’è sempre stato. Quando sono arrivati Dybala e Pastore non si parlava di speculatori, ma il sistema era sempre lo stesso». A proposito di programmazione, che ne pensa del Sassuolo? «È l’esempio della programmazione: vanno avanti così da anni». Però c’è anche una forza economica diversa rispetto al Palermo, non trova? «È innegabile. Però i soldi da soli non bastano. Tutto deve essere messo nel posto giusto. Serve anche una società forte e un direttore sportivo con le idee chiare che abbia la fiducia del presidente». Si aspettava un divorzio così veloce fra Foschi e il Palermo? «Rino a Palermo è stato il mio grandissimo direttore. Mi aveva fatto piacere il suo ritorno. Però gli anni passano e le persone cambiano. Lo stesso Palermo non è più lo stesso. Mi dispiace che abbia lasciato. Forse però è stato meglio interrompere i rapporti piuttosto che trascinarli. Foschi sapeva che non era più il Palermo dei nostri anni». Che ne pensa del direttore sportivo Daniele Faggiano? «Lo conosco personalmente perché lo incontro sempre in giro per gli stadi. A Trapani ha fatto bene. Ha il profilo giusto per il Palermo: credo molto nei giovani che maturano esperienza sul campo. Ha personalità e fame per fare bene». Il Palermo parte già retrocesso come dicono gli opinionisti? «Le posizioni non sono per nulla delineate. Anzi questi giudizi possono essere uno stimolo. L’obiettivo non può che essere la salvezza il prima possibile, ma prima che il pallone cominci a rotolare nessun giudizio può essere attendibile». Zamparini ha deciso di vendere. È sorpreso? «Lo dice da anni e in molti stanno passando la mano, guardate a Milano cosa è successo. È un periodo difficile per tutti, anche per gli imprenditori». Meglio Cina o Usa? «L’idea dei cinesi non è proprio romantica come l’imprenditore dalle origini palermitane. Però conta la solidità del progetto, più che il fascino del proprietario»”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “La Repubblica”.