L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sul reddito di cittadinanza e sulla proposta di Draghi per mantenerlo.
Il reddito di cittadinanza resta, ma deve cambiare. La posizione di Mario Draghi è questa ed è una sorta di via mediana tra le richieste del centrodestra – «non funziona, aboliamolo» – e quelle di M5S e Pd, secondo cui l’unica parte da rivedere riguarderebbe le politiche attive del lavoro.
In realtà, le modifiche proposte – già oggetto di riunioni tecniche con i ministri delle diverse forze politiche – sono di più. Il presidente del Consiglio avrà una serie di incontri, la prossima settimana, proprio su questo tema. Perché non si tratta solo di far funzionare i centri per l’impiego, impresa titanica finora mai riuscita a nessuno. Si tratta prima di tutto di potenziare di molto le clausole ostative, quelle che impediscono di avere accesso al sussidio, come le condanne o la mancanza di cittadinanza continuativa. A cambiare, dovrà essere proprio la natura dei controlli, che – dice un esponente di governo – «adesso sono fatti dopo, a campione, tutti in carico all’Inps». L’idea è quindi quella di aggredire anomalie e irregolarità e di correggere il più possibile alcuni degli elementi distorsivi prodotti. Ad esempio, il fatto che – soprattutto nelle aree più difficili del Paese – possa diventare un incentivo a non lavorare.
Ci sarà quindi quello che nelle riunioni tecniche hanno cominciato a chiamare «décalage»: l’assegno potrebbe cominciare a scendere dopo un determinato lasso di tempo e si dovrà trovare un modo per incentivare le persone che lo ricevono ad accettare anche lavori meno redditizi di quanto non accada. Perché l’effetto denunciato – ancora ieri in Consiglio dei ministri – dal fronte che si oppone alla misura, è che la platea invece di contrarsi, come avrebbe dovuto essere se le politiche attive avessero funzionato, si allarga. Rendendo alla lunga l’impianto insostenibile.