“Quando gli si chiede cosa ci guadagna con il calcio, il presidente dell’Acireale Nicola D’Amico scoppia in una risata: «In Eccellenza i profitti non esistono. Si spende e basta, per pagare i calciatori e iscriversi al campionato». Nella città del campione Olimpico di fioretto Daniele Garozzo, il calcio è diventato uno sport di nicchia. «Punteremmo ad avere allo stadio duemila spettatori a settimana, ma non riusciamo a schiodarci dai quattrocento». E dire che nel grosso centro in provincia di Catania una volta si guardava il capoluogo dall’alto in basso. A inizio anni Novanta, mentre i rossoazzurri arrancavano in serie C, i granata si godevano la B. È una delle tante storie del calcio minore siciliano, fatto di club spesso gloriosi guidati da dirigenti che cercano di ridestare un entusiasmo antico. La cordata del presidente D’Amico, che possiede una fabbrica di abbigliamento scolastico, può contare su 180 mila euro di budget annuale. Una cifra simile a quella investita da altre due nobili decadute che competono nella stessa categoria, Nissa e Licata. La squadra di Caltanissetta ha partecipato per l’ultima volta al campionato di serie C negli anni Ottanta. Nel 2013, la vecchia società ha dichiarato fallimento. A riportare il calcio in città ci ha pensato un gruppo di amici capitanati da Natale Ferrante, l’attuale presidente. Nella vita di tutti i giorni, il numero uno della Nissa lavora nella segreteria di una scuola. «Siamo ripartiti dalla terza categoria, e tutti ci prendevano per pazzi. Abbiamo conquistato quattro promozioni, e siamo riusciti a riportare la gente allo stadio». Tra i soci di Ferrante qualcuno ha un bar, qualcun altro gestisce un compro oro. Ma nessuno ha mai ricavato del denaro da quest’avventura. «Ogni anno spendiamo 200 mila euro. A finanziarci sono soprattutto gli sponsor». A pochi chilometri da Caltanissetta c’è San Cataldo, che con poco più di ventimila abitanti sovrasta calcisticamente il capoluogo. La Sancataldese è nelle mani di Giuseppe Diliberto, che l’ha riportata in serie D dopo vent’anni. Diliberto lavora in ambito edile, ma per due mesi l’anno si dà all’olivicoltura, attività che la sua famiglia porta avanti da oltre un secolo. «Ci siamo presi delle grandi soddisfazioni. Abbiamo anche ceduto al Milan uno dei nostri giovani». La stessa passione muove Bruno Vecchio, un pensionato settantacinquenne delle Poste, che da grande ha deciso di fare il presidente del Licata. Dopo i fasti degli anni Ottanta, quando la squadra arrivò fino in serie B, oggi bisogna preoccuparsi innanzitutto di pagare le bollette, e di risparmiare qualcosa su sapone e carta igienica. «Compriamo tutto alle svendite, e il personale in servizio allo stadio è formato da volontari», racconta il presidente. Alla fine della scorsa stagione, il Licata è stato ripescato in Eccellenza dopo il secondo posto in Promozione: «Perché siamo una società sana, senza debiti con nessuno – dice con orgoglio il numero uno – Siamo tra i pochi club che liquidano tutte e otto le mensilità ai calciatori. Andiamo avanti grazie agli sponsor, che non sempre pagano in tempo, e alle quote che mettiamo di tasca nostra. In tutto siamo sei soci, e ci rimettiamo ogni anno». Bruno Vecchio non pronuncia quest’ultima frase con amarezza, ma con la quieta rassegnazione di chi è prigioniero di un amore. Lo stesso amore che anima Ivano Vetere, che oggi ha «l’onore e il piacere» di essere il presidente del Castelbuono, società di Eccellenza di cui prima era direttore sportivo. È un tifoso con ruoli dirigenziali, che durante le partite si trasforma in uomo di curva. «Quest’anno abbiamo rischiato di non partecipare al campionato. La società era in cattive acque dal punto di vista finanziario a causa delle scelte errate fatte dalla precedente proprietà. Insieme con un gruppo di amici abbiamo rilevato il club, e vogliamo evitare la retrocessione». Il Castelbuono ha un budget nettamente più basso degli standard della categoria: 60 mila euro, a cui si aggiungono i 10 mila versati dal Comune per pagare l’iscrizione al torneo. In serie D i guadagni rimangono a zero. Ma si incontra la stessa, incrollabile, voglia di stupire. Il girone I è guidato a pari punti da Igea Virtus e Sicula Leonzio. Nel 2010 il club di Barcellona Pozzo di Gotto aveva dichiarato fallimento. A riportare i giallorossi a un passo dai professionisti ci ha pensato Antonino Grasso, un commerciante di materiale elettrico che guida un gruppo di sette soci. La nuova proprietà è ripartita dalla Prima Categoria, e rivendica con orgoglio i risultati ottenuti senza spendere grosse cifre. «Quest’anno siamo sui 250 mila euro – dice Grasso – meno di molte squadre che stanno dietro di noi. Abbiamo un gruppo di calciatori con un’età media di ventun anni, formato da ragazzi quasi tutti siciliani». Sono 1300 circa gli spettatori che ogni settimana riempiono lo stadio dedicato al fondatore del club Carlo Stagno d’Alcontres. Gli stessi che affollano le tribune dell’“Angelino Nobile” di Lentini. La Leonzio è un club che, come l’Igea, è stato rifondato dopo un crac societario. Il proprietario è Giuseppe Leonardi, ventisei anni. La sua famiglia possiede la discarica Sicula Trasporti, uno tra i maggiori centri di smaltimento rifiuti dell’Isola. «Lentini ha una storia calcistica importante, e il nostro pubblico è di palato fine. Per questo, siamo orgogliosi dell’entusiasmo che abbiamo creato». Con mezzo milione l’anno da spendere, la Leonzio è di diritto uno dei top club della categoria: «Vogliamo fare un campionato importante, e ci stiamo riuscendo»”. Questo ciò che si legge sull’edizione odierna de “La Repubblica”.