“Calcio malato in Sicilia tra macerie e fallimenti”
L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sul calcio in Sicilia sempre più in crisi.
Mancavano solo Filippi e compagni per completare il quadro di una situazione sconfortante. Il pomeriggio del 12 dicembre, prima del derby di Catania, il Palermo si trovava al secondo posto, in piena corsa per la promozione diretta. Quell’unico raggio di sole ha cessato, almeno per il momento, di brillare e non scalda più.
C’era una volta la Sicilia del calcio, che quindici anni fa aveva tre club in A.
Oggi, restano le immagini ingiallite di ieri e quelle più recenti a segnalare il senso di nostalgia e di disagio per squadre che, da protagoniste nei palcoscenici nazionali, navigano ora nel nulla cosmico delle serie minori. Una vera e propria bufera si è abbattuta sull’Isola: l’oro di Sicilia non esiste più, le regine sono cadute in basso.
Lo scenario è desolante: quattro fallimenti in due anni (Palermo, Catania, Fc Messina e Trapani), l‘ ultimo quello del Catania i cui effetti sono ancora da verificare. Tre città in C: i rosa a digiuno di risultati e con un tecnico sulla graticola; i rossazzurri nelle mani dei curatori fallimentari; l’ACR Messina, appena rientrata tra i professionisti, che tenta disperatamente di uscire dal fondo della classifica.
E in D, l’Fc Messina, escluso dal campionato dopo avere conteso, appena pochi mesi fa, la promozione proprio all’Acr e il Trapani che sta tentando di risalire verso i play off. Insomma, polvere di stelle.
Il Palermo è uscito progressivamente dal giro nel 2017 malgrado illustri condottieri come Ballardini, De Zerbi, Corini e Lopez. Era l’inizio della fine. Dalla retrocessione al fallimento il passo fu breve: titoli di coda di una società scivolata da celebrati campioni e mire europee ad una crisi economica senza fine. La storia che si ripete. Nel 1988, ad esempio, Palermo e Catania erano in C1, il Trapani ancora più sotto e in B figuravano il Messina (che poi si sarebbe addirittura sdoppiato), di Zeman e il Licata, plasmato dall’allenatore boemo e portato al successo dall’ex rosanero Cerantola, che in D dà segni di ripresa grazie a Pippo Romano, la bandiera dei tempi passati. Sì, proprio il Licata, quel punto lontano, nella Sicilia dimenticata, che giocava contro Genoa, Parma, Torino e Cagliari e che in Coppa Italia contro la Fiorentina ( ottomila tifosi e i giocatori in campo), applaudì Baggio per oltre un minuto, dopo un gol di straordinaria bellezza che pure sanciva la sconfitta. Altri tempi.
Dov’è finito il Catania di Di Marzio, Massimino e Ranieri che portava a Roma quarantamila persone agli spareggi per la A? E le otto stagioni in A con il presidente Pulvirenti, come Zamparini prima osannato e poi odiato? E l’indimenticabile periodo del professore Scoglio e dei “ suoi bastardi”, la conquista della B e la A sfiorata, il rapporto speciale con Totò Schillaci e un gruppo trasformato in leggenda? O la A conquistata da Mutti con una cavalcata inarrestabile? Per non dire del Trapani a un pelo dalla A con Cosmi e Coronado prima della rovinosa caduta. Di tutto ciò, della gloria vissuta, dei fasti, dei derby da prima pagina, sono rimaste solo ceneri, chiacchiere e racconti che interessano sempre meno. Il calcio è fatto per emergere, per toccare il cielo. Invece, il grande spettacolo, risucchiato nelle sabbie mobili del sistema, è fallito cancellando ogni possibilità di grandezza.
E allora non ci resta che parlare di un Palermo che non riesce più a vincere, precipitato al quarto posto in condominio e in discesa senza paracadute, ormai a undici punti dal Bari; di un Catania che implode sotto i colpi del Monopoli e del tribunale; di un Messina che ha già cambiato tre tecnici e in emergenza societaria; dell’altro Messina, l’Fc, passato in pochi mesi dal mancato ripescaggio in C, al fallimento; di Licata e Trapani (con Morgia, personaggio dalle scelte coraggiose) che sperano. Dei giorni felici, soltanto ricordi nostalgici.