L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sul caso Acerbi alla Lazio contestato duramente dai tifosi.
C’è una minoranza, la solita minoranza, a cui la serenità della Lazio deve dar fastidio. Chi di questa minoranza fa parte, con un certo coraggio, si definisce un “ultras” della Lazio stessa. Ciò nonostante, non sembra affatto averne a cuore le sorti. Quella minoranza, dopo la vittoria di Venezia, ha ritenuto sensato pubblicare un messaggio di insulti e accuse nei confronti di Francesco Acerbi.
Lo ha definito «uomo senza onore» per il gesto istintivo con cui, nel festeggiare il gol al Genoa, aveva zittito lo stadio per le critiche ricevute dopo la sconfitta col Sassuolo. Acerbi il campione d’Europa, il ragazzo che ha vinto (due volte) il tumore, quello sceso in campo in condizioni almeno precarie perché serviva che lui ci fosse. Per perdonarlo ne volevano le scuse a Venezia: una gogna sotto il settore laziale, a cui affidare la scelta se perdono oppure no.
La Lazio e il suo allenatore, Maurizio Sarri, hanno scelto e in queste ore si sono stretti intorno al difensore. Una testuggine contro l’odio. A colpire al cuore quella minoranza autolesionista erano state le parole con cui Acerbi aveva evidenziato i silenzi dell’Olimpico: «I tifosi mi mancano, col Covid eravamo a zero, adesso siamo a 5 mila». Il dito nella piaga: in città il contrasto tra lo stadio deserto quando gioca la Lazio e il sold out delle partite della Roma è stridente. Ma la colpa non è certo di chi lo annota con dispiacere.
Quell’«Acerbi vattene», ora, potrà lasciare un segno? Di certo, è polvere nelle rotelle di un rapporto saldissimo, ma con delle criticità. Perché Acerbi, che nel sistema di Simone Inzaghi era perfettamente a suo agio, con la nuova organizzazione soffre. Il suo contratto, adeguato pochi mesi fa, scadrà nel 2025: in ballo più di 15 milioni. Un prezzo troppo alto anche per un divorzio.