Repubblica: “Il blocco fuori casa, senza lavoro. L’odissea dei siciliani che non possono tornare”

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sull’odissea dei siciliani che affrontano l’epidemia lontano dalla Sicilia. Un ritorno al quale erano costretti dall’impossibilità di fare altrimenti: dai tre operai edili di Paternò bloccati in Lombardia ai 14 dipendenti dell’indotto Eni che ieri hanno cercato di tornare da Taranto, fino alle decine di persone bloccate al nord o all’estero e ormai senza lavoro. Sei siciliani sorpresi dall’epidemia in Slovacchia, ad esempio, sono riusciti a rientrare proprio nelle ultime ore: la Protezione civile li ha portati a Udine e da lì, dopo i controlli sanitari, sono partiti in auto e hanno attraversato l’Italia grazie a un lasciapassare della Farnesina. Fino allo Stretto, dove nella notte fra lunedì e ieri andava in scena lo show di Cateno De Luca: «Abbiamo rischiato il linciaggio – racconta una di loro, Maria Luisa Morici, insegnante a Bratislava – nonostante avessimo tutti i documenti in regola. Noi per fortuna siamo riusciti a passare, ma lì c’era di tutto, anche una bambina di sei mesi. Tutto solo per alimentare un’evidente campagna elettorale».
Chi torna, invece, non lo fa solo per una questione di volontà. «Il punto – ragiona l’insegnante palermitana Luisa Di Marzo, a Savona per una supplenza e ora bloccata in Liguria a pochi giorni dalla scadenza del contratto – è che vivere qui ha ovviamente dei costi. Non sappiamo fino a quando potremo permettercelo senza uno stipendio». Ditelo a Domenico Spampinato: la sua azienda di Paternò è attiva anche a Cremona, e nella città lombarda sono rimasti bloccati da domenica tre suoi dipendenti. «Quel giorno – spiega – il nostro cantiere è stato bloccato ed è entrata in vigore la norma regionale che vieta loro di partire ma impone loro di lasciare entro tre giorni il bed and breakfast nel quale si trovano. Per fortuna adesso abbiamo trovato una soluzione temporanea, ma non sarà per sempre. Pagherò io la quarantena e tutti gli esami, ma bisognerà farli tornare». Come cercavano di fare i 14 siracusani che si sono rivolti al sindaco Francesco Italia. «Hanno terminato le attività per l’indotto Eni – dice – e sono stati rispediti a casa. Devono fare una quarantena rigida, ma non possiamo lasciarli senza un tetto». Alla quarantena, del resto, sono disposti un po’ tutti: « Io – racconta ad esempio la ballerina- attrice Floriana Patti, avventurosamente tornata dalla Spagna dove stava seguendo un corso – dovrei restare in isolamento fino a sabato, quando scadranno le due settimane. Siccome però i miei genitori sono medici mi hanno consigliato di allungare il periodo di auto-quarantena: non incontrerò nessuno fino al 3 aprile». Il problema è quasi sempre economico. Marco Lombardo, 22 anni, di Palermo, ad esempio, studia a Milano, e a questo punto vorrebbe tornare. «Da casa – osserva – veniamo visti come untori. No: noi non vogliamo uccidere i nostri genitori. Semplicemente vivere qui costa». Per affrontare il problema ieri il presidente della Regione Nello Musumeci ha scritto alla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese: «Lo Stato – ha detto – ha determinato questo assembramento e lo Stato deve risolvere il problema. Abbiamo suggerito di acquisire una struttura ricettiva dove ospitare almeno le famiglie con persone fragili. Per i siciliani ospitati in albergo si fa carico la Regione». Anche perché chi può, invece, intanto si attrezza. Fabiola Cannizzaro, ad esempio, è una studentessa dell’università di Palermo che l’epidemia ha sorpreso a Valencia, in Spagna: è tornata domenica in Italia e lunedì nel capoluogo, e adesso fa la quarantena. «I miei – sorride – mi hanno preso una casa in affitto. Vivo lì, da sola, per evitare il contagio».