L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulla società che vuole rilevare il Manchester United e sulla questione multiproprietà che potrebbe recare problemi in vista delle coppe Europee. Il quotidiano, inoltre, prende in esame anche il caso del Palermo entrato nella galassia del City Group e sulla remota possibilità che in futuro i rosanero arrivino a partecipare alle coppe europee.
Di seguito quanto si legge:
Il cambio di proprietà del Manchester United è, fuori dal campo, l’evento più discusso del calcio mondiale. La storica nobiltà del club inglese trascende i risultati sportivi e gli garantisce un fatturato da record a prescindere. Ma c’è una premessa poco considerata, nell’asta miliardaria in corso per rilevare il club dalla proprietà americana invisa ai tifosi, la famiglia Glazer che nicchia sulle offerte da 4,5 miliardi di sterline dello sceicco qatarino Jassim Bin Hamad Al Thani e del magnate inglese Sir Jim Ratcliffe. La premessa è che la famiglia reale del Qatar possiede già il Psg e che Sir Ratcliffe, con la sua Ineos, è il padrone del Nizza in Francia e del Losanna in Svizzera. Si tratta, cioè, di una potenziale multiproprietà, l’ennesima dello sport più popolare, che somma ormai più di 200 situazioni di questo genere. Nel caso United c’è di più. Anche Elliott partecipa infatti alla trattativa.
Il fondo della famiglia Singer, che fino all’estate 2022 risultava proprietario del Milan, prima dell’ingresso del fondo Red Bird Capital di Gerry Cardinale, e fino al novembre 2020 era partner finanziario, insieme a JP Morgan, dell’ex patron del Lille Lopez, prima del trasferimento delle azioni al fondo Merlyn Partners, nell’operazione United ora è disponibile a un prestito all’azionista di maggioranza, chiunque sia, o a rilevare una partecipazione di minoranza affiancando una cordata. Elliott conserva una forte influenza sui destini rossoneri, dopo aver ceduto le quote con la formula del vendor loan, il prestito all’acquirente, quasi 600 milioni, a Red Bird, azionista di maggioranza del Tolosa e con una partecipazione in Fenway Group, padrone del Liverpool. Un interesse così scoperto dei fondi della finanza mondiale per il calcio sottende un business evidente. Il fenomeno delle multiproprietà è in costante moltiplicazione.
Certo, la violazione dell’articolo 5 del regolamento (“nessun club che partecipi ad una competizione Uefa per club può direttamente o indirettamente detenere o negoziare titoli o azioni di qualsiasi altro club che vi partecipi. E nessuna persona fisica o giuridica può avere un’influenza determinante su più di un club che partecipi a una competizione Uefa”) è in teoria remota, almeno nella maggior parte dei casi. Quando Suning possedeva l’Inter in A e lo Jiangsu nella Superlega cinese, le possibilità di un incrocio sul campo erano bassissime, così come oggi non sembrano profilarsi duelli tra le squadre del fondo americano 777 Partners: Genoa, Hertha Berlino (Germania), Standard Liegi (Belgio), Red Star (Francia), Vasco da Gama (Brasile), Melbourne Victory (Australia).
La teoria, però, può diventare talvolta pratica: chi può escludere che il Palermo un giorno ambirà alla zona Champions, dove però c’è sempre il Manchester City, capofila del City Group emiratino che include New York City (Usa), Torque (Uruguay), Melbourne City (Australia), Girona (Spagna), Mumbai City (India), Lommel (Belgio) e Troyes (Francia)?
La tesi è che l’avvento dei fondi sia un toccasana per un mondo avvezzo allo sperpero e al riciclaggio di denaro, perché la buona finanza ha tutto l’interesse a risanare i conti, a tenerli in ordine, a produrre profitto e a pretendere trasparenza. Sarebbe la prospettiva dell’incremento dei diritti tv e della costruzione dei nuovi stadi ad attirare gli investitori americani. Che però tutti possano davvero guadagnare, nel sistema nebuloso delle multiproprietà, è una tesi ancora da dimostrare, contraria alla legge dell’economia. Mentre è concreto il rischio che, insieme alle multiproprietà, si moltiplichino le partite falsate.