L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulla guerra in Ucraina che in qualche modo coinvolge anche Abramovich, costretto a lasciare il Chelsea.
Cosa c’è dietro il passo di lato, e il possibile addio, di Roman Abramovich dal Chelsea campione d’Europa? C’è un mondo, letteralmente. Il 55enne oligarca russo, uno dei più vicini a Vladimir Putin, ieri sera ha scosso la Premier League annunciando di passare «la gestione del club alla sua fondazione di beneficenza. È la cosa più saggia nell’interesse della squadra». Un annuncio shock che prelude a una possibile cessione del Chelsea per possibili 1,5 miliardi di euro e che è strettamente legato alla guerra in Ucraina e alle sanzioni anti Russia.
Abramovich è da tempo un paria a Londra dopo l’avvelenamento dell’ex spia doppiogiochista Sergej Skripal e sua figlia Julia a Salisbury nel 2018 per mano dell’intelligence militare russa. Da allora è iniziata una guerra di nervi tra lui e il Regno Unito: Abramovich non si è fatto più vedere, prendendo il passaporto israeliano. Se ora tornasse a Londra, sarebbe immediatamente respinto. Ma soprattutto, Abramovich teme le sanzioni britanniche e occidentali, che potrebbero riservargli un ferale colpo. Di qui la sua retromarcia dal Chelsea.
In un contesto in cui Londra sembra finalmente affrontare il problema dell’enorme riciclaggio di denaro sporco degli oligarchi russi negli ultimi decenni, sinora manna per la City. Infine, c’è una significativa rivolta familiare. Ieri sua figlia Sofia su Instagram ha incolpato e attaccato Putin per la guerra in Ucraina. Lo stesso hanno fatto la figlia di Boris Eltsin, Tatyana Umasheva, e persino Lisa Peskova, figlia del portavoce di Putin, Dmitrij Peskov: “No alla guerra”. È il segnale di possibili e pericolose crepe della nomenklatura russa, anche nelle famiglie dei suoi pilastri.