Repubblica: “Gli invisibili. Casi lievi e asintomatici, l’epidemia sommersa. In Italia due contagi su tre restano nell’ombra”

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sui contagi celati. «Stimo che in Italia oggi ci siano 300 mila contagiati, 160 mila con sintomi che non hanno fatto il tampone e 140 mila asintomatic i» dice Andrea Crisanti, 65 anni, microbiologo all’università di Padova. È lui l’ispiratore del “modello Veneto”: fare più tamponi per capire dov’è il nemico e come si muove. «Bisogna conoscere l’epidemia per contrastarla. E noi oggi sappiamo troppo poco di lei».
Crisanti non è il solo a pensare che ciò che vediamo è solo la punta dell’iceberg. Il caso Italia interessa ormai tutto il mondo. Su Lancet è appena uscito uno studio dell’università di Toronto: “Il 29 febbraio, quando in Italia si contavano 1.128 casi, stimiamo che ce ne fossero 3.971, con un tasso di non identificazione del 72%”. Vuol dire che oltre due casi su tre restano nell’ombra. Guariscono da soli, ma possono contagiare. «Lo abbiamo osservato a Vo’, dove dopo il primo decesso del 20 febbraio abbiamo testato tutti i 2.700 abitanti. In alcune famiglie in quarantena abbiamo notato trasmissioni da persone asintomatiche. I contagiati che non mostrano segni della malattia sono circa il 40%. La letalità in Cina è del 2%. Poniamo che in Italia sia del 3% per la percentuale di anziani più alta. Questo è anche il dato che vediamo in Veneto, dove abbiamo fatto più tamponi. Se abbiamo 6 mila morti e teniamo conto anche degli asintomatici, arriviamo a 300 mila casi. Alla scoperta dell’epidemia, un mese fa, i positivi erano il 3%» spiega Crisanti. «È come se in Italia, quando ci siamo accorti del coronavirus, avessimo già 200 mila casi». In realtà la distribuzione del virus non è omogenea e la città veneta era un superfocolaio.
Oggi a Vo’ non ci sono invece nuovi contagi: l’ultimo risale al 14 marzo ed era in quarantena con altri familiari positivi. Oltre al decesso iniziale, non è morto più nessuno. Per svelare la parte nascosta dell’iceberg, il Veneto ha deciso di portare la sua capacità a 10 mila tamponi al giorno. «Ma non vanno fatti a tappeto» precisa Crisanti. «Si parte dai malati, poi si testano i familiari, infine colleghi e amici. Ho lavorato in molti paesi africani e questo è il modello che si segue lì: ci si allarga per cerchi concentrici. I positivi ogni volta vengono messi in quarantena». In Italia, secondo Crisanti, i punti deboli dell’argine contro il coronavirus sono probabilmente «famiglie, mezzi di trasporto e luoghi di produzione ». Dissolvere anche questi punti di aggregazione sembra però improponibile. «Si potrebbe — suggerisce il microbiologo di Padova — far entrare i passeggeri sui mezzi pubblici solo con le mascherine e fare dei tamponi a campione sui lavoratori ». E poi resta la discrepanza fra nord e sud, che vale per l’Italia come per il resto del mondo. Forse è solo questione di tempo. «Ma è possibile che le temperature più alte ci proteggeranno. Sembra che il virus sia sensibile al caldo».