L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta il pensiero del giornalista Salvatore Geraci sulla coppa “scippata” al Palermo nel 1974.
“Pippo Li Causi, gestore del bar della Favorita, scherzava e rideva prendendoci in giro. Era il suo modo di fare. Durante il volo, si avvicinò come per offrirmi una bibita e mi bagnò dalla testa ai piedi. Tutti a ridere. Era l’inizio di una passeggiata sulla luna del calcio, la prima finale di Coppa Italia del Palermo, contro il Bologna, dopo avere eliminato perfino la Juventus. Quelli della mia età
Ricordano. E c’erano. Ventimila al seguito della squadra, quarantasei anni fa, per accarezzare un sogno impossibile perché fino a quel drammatico e indimenticabile 23 maggio del 1974 i rosa avevano più sofferto che vinto. E quell’aereo con giornalisti, tifosi e dirigenti volava da solo spinto dall’entusiasmo di una sfida tanto affascinante quanto impossibile. Tutti volavano. Pensando alla cena offerta da Renzo Barbera nel mitico ristorante di Gigi Fazzi, alla vigilia del sogno. Il presidente si superò: centinaia di invitati e per tutti un abbraccio, due parole, un regalo e conto pagato. Molti rimasero fuori solo a guardare. E il presidente andò fuori a stringere loro la mano. La squadra nasceva da un’ autentica rivoluzione. Soprattutto culturale. Più spettacolo e meno protagonisti. Renzo Barbera apriva una nuova era con un tecnico esuberante, il quarantaquattrenne Corrado Viciani, due anni prima protagonista con la Ternana di una storica promozione, sul quale si era appuntata la curiosità generale per il suo gioco spumeggiante. Viciani era elegante e colto. Amico di Cagli, Guttuso, De Chirico, Veronelli, aveva l’idea di una netta separazione di ruoli: «I giocatori sono pagati per i sacrifici, non l’allenatore». Viciani era Viciani. Sfidò l’Italia del pallone con il gioco corto («calcio brasiliano alla velocità degli inglesi»), impose metodi di preparazioni durissimi che costringevano i giocatori ad una vita monastica, anticipò l’era del Barcellona: possesso palla, squadra sempre all’attacco, difesa a rischio. Ma un aspetto rendeva Corrado unico: non faceva nulla per accattivarsi la simpatia dei giocatori. Lavoro e sacrificio erano la sua Bibbia, per questo entrò in conflitto con i senatori. «Come posso vincere un campionato se ho la squadra più abbronzata d’Italia?». Ripeteva. Viciani aveva un vezzo, teneva nel pugno qualche moneta passandola da mano a mano, una maniera per accompagnare i suoi pensieri. La notte del 23 maggio, il tintinnio delle monete diventò assordante: dopo avere rivisto dai suoi amici in Rai, le azioni incriminate, resosi conto che Savoldi aveva battuto una rimessa che era del Palermo e che il rigore non c’era, si affrettò a rintracciare Arcoleo per dirgli: «Maledetti ci hanno fregato». La sua maniera per chiedere scusa. Era fatto così. La grande delusione Io ci credevo e il dominio del Palermo mi dava significative sensazioni. Indimenticabili i protagonisti: Girardi in porta; tre difensori (Zanin, Cerantola, Pighin) la sintesi della velocità, del senso tattico e della forza fisica; due esterni inesauribili come Favalli e Barlassina; a centrocampo Arcoleo e Vanello il braccio e la mente; Ballabio (poi Vullo) tra le linee, e in avanti La Rosa ( poi Barbana) e Magistrelli. Insomma uno spregiudicatissimo 3-4-1-2 contro Bulgarelli, Vieri e Savoldi e allenatore Pesaola. Il suo uno dei più grandi Palermo della storia. Magistrelli e Barbana. Fecero impazzire il Bologna. Magistrelli portò in vantaggio i rosa: cross di Favalli, il bomber si alza come un angelo e colpisce di testa. Il Palermo domina e si permette il lusso di divorarsi gol fatti. Magistrelli non si da ancora pace: «La Coppa? Rubata. Uno scippo». Novellini, poi compagno di squadra nel Palermo, l’avrebbe preso in giro: « Vedi questa macchina? L’ho comprata con il premio della finale». Si poteva vincere per 3 a 0. Ad un certo punto, Magistrelli e Barbana partono da centrocampo in perfetta solitudine. Fatto fuori il portiere, all’ultimo passaggio, il centravanti sbaglia lo stop col ginocchio e il difensore Cresci, che nel frattempo aveva recuperato, respinge sulla linea bianca. Un finale amaro Spedì quel Palermo dall’illusione all’inferno. Pensate: Barbera e i dirigenti erano già in campo per festeggiare! Ma all’ultimo istante… Ero accanto a Renzo, negli spogliatoi. Piangeva e ai giocatori commossi diede ugualmente il premio previsto per il trionfo. Gelido invece con l’arbitro Gonella. Renzo gli regalò un paladino siciliano ma non volle stringergli la mano. Durissimo il suo saluto: «Signor Gonella, questi a Palermo li chiamano paladini o pupi. Oggi, per lei, è soltanto un pupo». Era il più deluso di tutti. Ed io con lui. Prima del rigore avevo già preso la mia portatile e stavo per scendere negli spogliatoi. Avvertì il gelo della gente e chiesi cosa fosse successo. Le immagini del “fattaccio” mi sfuggirono. Nulla, comunque, era compromesso. Il Palermo, però, continuava con i suoi regali e i rigori avrebbero massacrato la legittima speranza: Palermo in vantaggio dopo tre tiri, Gonella che fa ripetere il tocco morbido di Bulgarelli parato da Girardi, l’errore di Vullo, la traversa di Favalli. Da non crederci. Forse senza il ” vaffa” ad Arcoleo, per il presunto fallo contro Bulgarelli che costrinse il capitano delegittimato a tirarsi indietro al momento dei rigori, la storia sarebbe cambiata. O era destino? Quella svolta cambiò anche il tecnico. Viciani mi volle con lui. Da nemici ( solo per questioni tecniche o tattiche) ad amici inconsolabili. Restammo svegli fino all’alba. L’uomo senza emozioni era distrutto”.