Repubblica: “Gazzi si racconta: «Affascinato da Mondello. Prima delle gare mi do la carica con la mia colonna sonora»”
“Beach House, Low, Eels, Boards of Canada, Panda Bear, Rachel’s, Stars of the Lid, Flying Saucer Attack. Ecco una breve panoramica degli ascolti musicali di Alessandro Gazzi, estratta da un elenco pubblicato sul suo blog. Gazzi è un personaggio dai gusti molto eccentrici per il suo ambiente lavorativo, e con molteplici interessi: oltre alla musica e a scrivere sul blog, è appassionato di cinema (ha studiato per due anni al Dams di Roma). Ai tempi del Siena ha fatto un corso base per sommelier «solo per curiosità, per conoscere meglio quello che bevevo». La curiosità è un tema ricorrente di questa intervista. Come la precisione: prima di rispondere a ogni domanda Gazzi si prende il suo tempo, a volte nel corso della conversazione torna indietro per aggiungere qualcosa alle risposte precedenti. Vuole essere sicuro di esprimere con chiarezza quello che pensa. Comincerei dall’elenco di gruppi ed artisti che ho trovato sul tuo blog. «Ok, ma vorrei fare una premessa. Io ascolto questa musica perché è capitato, per curiosità. Per accrescere la mia cultura. Ma in realtà non ho una formazione musicale, non conosco la grammatica della musica e non so suonare nessuno strumento. Nell’elenco sul tuo blog c’è un mucchio di psichedelica, e molta musica introspettiva. «Molti artisti di quell’elenco li ascoltavo di più quando avevo 20 anni. Ora ascolto musica più tranquilla, ambientale, anche prima di scendere in campo. Magari può sembrare strano, molti immaginano che per caricarsi ci voglia musica più ritmata, pop o non so, il metal o il rithm and blues. Io invece per trovare lo stato d’animo giusto, per raggiungere la concentrazione che ci vuole, ho bisogno di quella musica». Il 2017 è cominciato con un robusto ritorno dello shoegazing (scena inglese di fine 80 incentrata sull’utilizzo di chitarre arricchite da effetti e distorsioni): la reunion di gruppi storici come Ride e Slowdive, un nuovo album dei Jesus & Mary Chain. Li hai già ascoltati? «Ho letto di queste uscite, ma non ho ancora avuto il tempo di ascoltarle. La passione per questo genere nasce dal disco “Loveless” dei My Bloody Valentine, del 1994. Uno dei miei dischi preferiti in assoluto. Quello che mi incuriosisce di più è il disco degli Slowdive, i più affini al sound dei My Bloody Valentine ». C’è un disco che ti ha colpito particolarmente, in questo primo scorcio di 2017? «Lift to Experience, The Texas-Jerusalem Crossroads, ristampa. (L’album originario è del 2001)». Immagino che il tuo percorso da appassionato sia simile al mio: si comincia con i dischi dei genitori o dei fratelli maggiori, poi si scambiano gli album con gli amici, si leggono le riviste, si comprano i dischi in edizione economica. E poi arriva un disco “di svolta”, che indirizza i tuoi gusti e le tue ricerche successive. Qual è stato il tuo disco di svolta? «The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd. Ero un ragazzo e ascoltavo più o meno quello che ascoltavano tutti i miei coetanei all’epoca, gli 883 e cose così. Poi, per curiosità, ho cominciato ad ascoltare i dischi della collezioni dei miei genitori. Di Dark Side of the Moon mi aveva colpito la copertina. E la musica, quando l’ho ascoltato. È stata una folgorazione. Era qualcosa di totalmente diverso da quello che avevo ascoltato finora, musica che toccava altre corde, richiamava stati d’animo diversi e più complessi. Il seguito è quello che racconti tu: le riviste musicali con cui indirizzarsi (Il Mucchio, Rumore, Blow Up), i cataloghi con cui compravo per corrispondenza i dischi che non trovavo in negozio, fino a quando non è arrivato internet, che ha reso tutto più semplice da una parte per la facilità con cui si reperiscono informazioni e dischi, più difficile da un’altra, perché non ci sono più gli stessi riferimenti, è complicato orientarsi e trovare un filo conduttore». A volte i gusti musicali tendono a cambiare anche molto radicalmente, nel corso del tempo. I tuoi gusti sono cambiati molto, nel corso degli anni? «Direi di no. Credo che i miei gusti siano abbastanza simili, o comunque coerenti con quelli di quando ero ragazzo. Dipende anche dalla crescita individuale e dall’educazione all’ascolto. Ci sono dischi e generi musicali che ho provato ad ascoltare a vent’anni, trovandoli insopportabili, e che qualche anno dopo trovavo bellissimi. Era cresciuta la mia educazione musicale, il mio orecchio si era affinato. Per fare un esempio, la musica elettronica/industrial. Non so se conosci i Pan Sonic». Sì. Li ho ascoltati dal vivo a Catania alcuni anni fa. «Ecco. Li ho ascoltati a vent’anni e non mi piacevano, non li capivo. È musica che difficilmente può essere apprezzata nell’immediato: richiede una particolare immedesimazione. A 26-27 anni ho cominciato ad apprezzarli, e poco a poco, riascoltandoli, li ho trovati davvero notevoli». Nell’elenco sul tuo blog non c’è molta Black Music. «Ascolto poca musica nera, ma più che altro perché ne passa parecchio in radio, e in generale cerco di ascoltare cose che trovano poco spazio in radio. Tanto la musica radiofonica ti raggiunge in ogni caso». Da qualche anno personaggi molto popolari, come Kanye West o Rihanna, fanno scelte molto più ardite e sperimentali rispetto agli artisti delle scene alternative. Alcuni critici sostengono che la distinzione tra musica indipendente e musica mainstream sia ormai superata. Io non sono esattamente d’accordo. Tu che ne pensi? «L’arrivo di internet ha disgregato i generi, creato commistioni del tutto insolite. I percorsi musicali sono sempre meno univoci. Le cose poi cambiano a una velocità pazzesca, è impossibile starci dietro. In questo momento la Rete ha fatto saltare certe distinzioni, è vero. Ma magari tra un anno ritorneranno. È un cambiamento continuo». Dove trovi il tempo di ascoltare tutta questa musica? «Ascolto tantissima musica in ritiro. La nascita delle mie tre bimbe per il resto non ha cambiato molto i miei gusti. Certi generi che ascoltavo di più sono stati sostituiti da altri – meno rock duro, più musica introspettiva. Più Pop, si potrebbe dire». In Sicilia abbiamo una scena musicale molto vivace. Negli anni Novanta c’è stato il boom di Catania, poi a partire dal 2000 hanno cominciato a trovare spazio gli artisti palermitani. «La scorsa settimana pensavo che due artisti come Carmen Consoli e Franco Battiato possono proporli poche città in Italia. Conosco bene gli Uzeda. Dei gruppi palermitani ho ascoltato Il Pan Del Diavolo, tra l’altro non sapevo che fossero di Palermo. Cosa ti piace di Palermo? «Ancora non ho conosciuto abbastanza. Ho visitato la Cattedrale, il Teatro Massimo, Il Politeama, le Catacombe dei Cappuccini. Fuori da Palermo ho visto la Valle dei Templi ed Erice. A Palermo si percepisce chiaramente che è stato un punto di incontro di molte culture diverse. È qualcosa di vistoso e tangibile, nell’architettura, nella cultura. E poi, anche se non sono un grande appassionato di mare, preferisco la montagna, devo dire che Mondello è davvero affascinante». Fine della conversazione in chat”. Questo quanto si legge sull’edizione odierna de “La Repubblica”.