L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulle ulteriori misure in arrivo per contrastare l’emergenza Coronavirus. Da domani e fino al tre aprile il governo chiude le attività non essenziali in tutta Italia. Palazzo Chigi impone la serrata degli uffici pubblici, di tutte le attività produttive, professionali, commerciali e artigianali, ad eccezione delle aziende e delle fabbriche strategiche per la filiera agroalimentare, sanitaria, energetica. Una scelta sofferta, che il premier avrebbe voluto evitare, o almeno limitare solo ad alcune Regioni. «Non nascondo la realtà – ammette alla fine Conte a reti unificate – è la crisi più difficile dal secondo dopoguerra. Sono misure severe, ma non abbiamo alternative – dice Conte – dobbiamo resistere». Ci sono tre passaggi chiave, in un sabato nero. Primo: la Lombardia e il Piemonte decidono di ignorare gli appelli del governo a coordinarsi, varando in autonomia misure più restrittive. Il governatore lombardo Attilio Fontana si scontra frontalmente con Palazzo Chigi, e decide di forzare la mano senza attendere un summit in videoconferenza convocato (e poi annullato) da Conte e Boccia. Sfida l’esecutivo mettendo al bando le attività non essenziali: io le vieto, il senso della decisione, ditemi voi quali sono quelle irrinunciabili. Secondo momento decisivo: il centrodestra compattamente si pronuncia per misure più drastiche. Terzo passaggio fondamentale: i sindacati chiedono e ottengono un incontro in videoconferenza con il premier, assieme alle altre parti sociali. Maurizio Landini a nome della Cgil, ma anche Cisl e Uil sono letteralmente travolti dalle richieste dei lavoratori sul territorio. Si rivolgono a Conte con una nettezza che colpisce: «Pensiamo che sia giusto chiudere le attività non essenziali in tutta Italia». Vogliono però che la decisione sia concordata e ordinata, perché l’obiettivo è evitare tensioni nelle fabbriche che dovranno comunque restare aperte per garantire la sopravvivenza del Paese. Gli industriali, invece, sono scettici. Propongono semmai una serrata mirata: Lombardia e il resto delle zone realmente rosse. E poi mettono in guardia: «Attenzione, le filiere sono talmente intrecciate che rischiate di bloccare quelle essenziali anche chiudendo quelle che ritenete non fondamentali».
Alla fine, comunque, il premier cede. Riunisce i capi delegazione, li informa. Va in diretta Facebook ad annunciare la nuova svolta. «Oggi decidiamo un altro passo: chiuderemo nell’intero territorio nazionale tutte le attività produttive, ad eccezione di quelle cruciali e indispensabili per garantirci beni essenziali. Ma calma, resteranno aperti supermercati, assicureremo i trasporti, i servizi bancari e postali, assicurativi. Rallentiamo il motore produttivo del Paese, ma non lo fermiamo. Lo Stato c’è, è qui, non rinunciamo alla speranza, arriveranno altre misure economiche straordinarie per ripartire quanto prima». Di certo la stretta sarà rinnovata. Circolano due nuove possibili date: 12 aprile e 19 aprile. Prorogabile, ovviamente.