L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta le dichiarazioni di Attilio Fontana, governatore della Lombardia. Presidente Attilio Fontana, crede che fuori da Milano in troppi non si rendano conto della gravità dell’epidemia come sta in prima linea da tre settimane? «Credo che ci sia una percezione sbagliatissima a Roma e non solo. Sentivo in tv un medico di Genova, faceva i discorsi di chi non ha coscienza di cosa succede, perché la situazione è oggettivamente gravissima, il virus è subdolo, scompare e ricompare e colpisce duro. Siamo agli sgoccioli dei letti per la terapia intensiva, l’assessore mi dice che sono poche decine. Per questo noi avevamo fatto alla Protezione civile una proposta e ci avevano appoggiato. Loro avrebbero recuperato personale e ventilatori, noi i locali preparati come un reparto ospedaliero. Abbiamo già il progetto di massima al Padiglione 1 e 2 della Fiera. Ora non è colpa di nessuno e i ventilatori non si trovano e i medici mancano…». Però ci risulta che i lavori nei padiglioni della Fiera continuino. «Stiamo cercando di andare avanti lo stesso e ho chiamato Guido Bertolaso, l’ex capo della Protezione civile ai tempi del terremoto. Sì, c’è stata polemica in passato, ma mi fido di lui, sarà il nostro consulente e ci aiuterà con i suoi contatti in tutto il mondo a realizzare questo ospedale da campo dedicato alle terapie intensive. Se posso, vorrei attraverso Repubblica precisare una cosa». Prego. «Non intendo fare politica con questo evento e non intendo fare polemiche né con il governo, né con la Protezione civile. Il fatto è che a dispetto di ogni difficoltà noi non vogliamo trovarci impreparati di fronte al peggio». Perché a Milano si teme il peggio? «L’analisi delle curve del contagio parla della necessità – e secondo me è questo il dato che fuori dalla Lombardia non percepiscono esattamente – di un grande centro di rianimazione. Il virus al 90% dei casi non è grave, ma a un 10% della popolazione causa una gravissima polmonite. Per questi malati serve un letto per la rianimazione, anche per una dozzina di giorni, e la crescita dei contagi porta all’esaurimento dei letti. Noi in due settimane ne abbiamo creati 300, e li abbiamo aggiunti ai 650 che già c’erano, puoi fare miracoli ma esistono studi seri che parlano di 4mila persone da ricoverare in terapia intensiva in Italia a breve».
Milano offrirà posti letto al resto d’Italia? «Non è la parola giusta, offrire. Noi siamo i primi a essere finiti nello tsunami, anche la signora Merkel si è detta disposta a collaborare e se lo fa le dirò grazie per tutta la vita. Insomma, il “modulo” studiato da Regione e Fiera Milano può servire per tutta l’Europa e fuori dall’Italia l’hanno compreso. E se da noi passerà l’emergenza, i malati da altre regioni potranno trovare qui il posto che non hanno a casa loro». Se non pochi, compreso il suo segretario Matteo Salvini, in questi giorni hanno cambiato linea, lei dall’inizio è stato per la durezza del modello cinese. Come mai? «Per due rapide considerazioni. La prima nasce da fatto che Xi Jinping, il presidente della Cina, parla poco, ma non parla a vanvera. Se dice che per la Cina il coronavirus ha rappresentato la più grave emergenza sanitaria, io mi preoccupo. Non ha bisogno di fare uscite clamorose per conquistarsi il voto, i voti li ha già. È stato la mia stella polare». Poi? «Ho ragionato con scienziati e virologi. Mi riferivano le stesse cose della Cina, quello che dicevano si verificava, papale papale. Non pochi hanno provato a farmi fare la figura del pirla, con la storia della mascherina su Facebook, e magari pirla posso anche essere, ma sinora non mi pare d’avere fatto sciocchezze». Secondo lei, il Nord deve chiudere le fabbriche? «L’accordo raggiunto salvaguarda produttività e dà garanzia di sicurezza, spero non si debba arrivare a fare come a Wuhan, ma l’equilibro oggi è ancora precario». La decisione più difficile? «All’inizio. Non si sapeva dove andava l’infezione e la prima decisione difficile è stata se creare o no la “zona rossa” nei dieci Comuni intorno a Codogno. C’era la linea del rigore e la linea morbida e, a differenza di quanto dicevano altrove, ci siamo compattati al 99,9 per cento per chiudere, e abbiamo chiuso. Nella mia unità di crisi ci sono persone del calibro del professor Antonio Pesenti del Policlinico, nessuno ha mai pensato che questa fosse solo un’influenza». Dopo la Lombardia, altri presidenti di Regione si troveranno alle prese con emergenze simili? «Nelle Marche sono messi male, m’hanno chiamato, hanno un aumento rapportabile al nostro all’inizio. A chi mi chiama dico che bisogna far capire che questo Covid-19 non è uno scherzo, ma lo può diventare se lo affrontiamo in modo rigoroso. Solo stando a casa il più possibile e seguendo le normative igieniche e sanitarie lo si blocca. Non ridicolizziamo più messaggi importanti». Come ha vissuto la sua quarantena autoimposta? «Se devo dir la verità, per l’angoscia che provavo stavo male. Dopo il sospetto del mio contagio, non sono più andato a casa, sono rimasto a Palazzo della Regione, dove c’è una cameretta sopra l’ufficio. Non ci avevo mai dormito, mi metteva ansia l’idea di un persona sola in migliaia di metri quadrati deserti, invece ho scoperto che è silenziosissima e si sta quasi bene. Un po’ di sindaci hanno mandato regali, che tenevo in segreteria, salami, formaggi, vino. C’è chi mi ha portato polpette, lasagne, torte. Sono stato invaso dal cibo e, come tutti, dalle telefonate. E oggi (ieri, ndr ) mi sono appena goduto a casa mia a Varese una mattina semitranquilla, la prima».