Repubblica: “Dalla frontiera del virus. Bergamo tocca il picco del dolore, 385 morti in 7 giorni”

L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sulla situazione di Bergamo, una delle città più colpite dall’emergenza Coronavirus. Bergamo non riesce a rompere il silenzio delle sue strade, delle sue case: niente tricolori alle finestre e striscioni “iorestoacasa”. Perché questo non è solo un silenzio di paura, di tristezza: è un silenzio di morte. Il dolore brucia nel corpo mutilato della città. Nel sottofondo delle sirene, nei bollettini di guerra e nelle paginate dei necrologi. Le camere mortuarie sature da giorni, il forno crematorio sempre acceso: come i camini delle industrie. L’angoscia collettiva si è depositata. A chi toccherà, oggi? Lo conoscevo. Era sano. Parenti. Amici. Un collega. Il compagno di scuola. Il vicino di casa. La morte degli altri, con il suo pallottoliere, diventa una paralisi dell’anima. «Ho immagazzinato così tanto dolore che, dopo tre settimane, faccio fatica a contenerlo», dice Maria Beatrice Stasi, direttrice generale dell’ASST Papa Giovanni XXIII. Lavora da casa a Calolziocorte. Contagiata anche lei dal coronavirus. «Sabato il mio secondo tampone era ancora positivo. Sto qui incollata al pc e a due telefoni. Mi dicono le cose. Per fortuna abbiamo appena potenziato le scorte di ossigeno con una nuova cisterna e 100 metri di collegamento. Con 400 pazienti Covid (su 1000 posti letto, ndr), se andassimo in default, sarebbe la fine». Domenica pomeriggio l’ha chiamata Conte. «Una lunga telefonata, ha capito la gravità. Mi ha detto: che cosa vi serve? Personale, mascherine. E qualche ventilatore in più. Non c’è solo l’aspetto tecnico. C’è anche quello emotivo e relazionale coi pazienti. Sai che la bestia ogni giorno morde e là fuori la gente è terrorizzata».