L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta le dichiarazioni di Milena Bertolini, CT dell’Italia femminile: «Ho iniziato a giocare a calcio da bambina – racconta – Mi allenavo esclusivamente con i maschi, non poter giocare con le altre bimbe mi faceva star male ma il calcio femminile allora non esisteva. Ed è stata una grande sofferenza per me, perché alcune battute, alcuni sguardi e determinati comportamenti lasciano una traccia indelebile nello spirito di una bambina. Ci sono alcuni ostacoli – continua la Bertolini – che io chiamo invisibili e fanno parte di un problema culturale. Ancora oggi, purtroppo, in Italia in troppi pensano che una ragazza che giochi a calcio sia strana e fuori dagli schemi. Al mondiale siamo arrivate tra le prime otto classificate al mondo ed eravamo l’unica nazionale formata da calciatrici non professioniste. Stiamo lottando per cercare di migliorare la situazione. È chiaro che nessuna si aspetta di ricevere gli stipendi di Messi e Ronaldo, ma è giusto che le nostre calciatrici siano riconosciute come professioniste per dare un senso ad una vita di sacrifici che hanno fatto e che continuano a fare». Nel Sud Italia, in particolar modo in Sicilia, la strada da fare però è ancora lunga e tortuosa. E la salita è ripida: «C’è molto entusiasmo e vedo tantissimi talenti femminili, ma ci sono evidenti difficoltà strutturali e culturali e mancano i progetti che possano permettere a questi talenti di sgrezzarsi e raffinarsi. Ma io quotidianamente rompo le scatole alla nostra federazione perché voglio giocare più spesso al Sud. A Palermo, appena tre mesi fa, siamo state accolte benissimo, trovando un calore unico e un entusiasmo pazzesco. Mi piacerebbe disputare qualche amichevole internazionale anche a Messina. E vorrei girare, andare nelle scuole, portare le testimonianze delle nostre ragazze, raccontare le loro storie. Negli anni le donne hanno acquisito dei diritti che non devono essere mai scontati – dice Bertolini – Vanno difesi e va fatta una costante manutenzione. E le bambine hanno il diritto di poter giocare liberamente a calcio, senza barriere, senza stereotipi. Perché spesso, purtroppo, sono proprio le mamme stesse le prime ad ostacolare le figlie».