L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sul caro bollette e sull’industria siciliana ormai in ginocchio.
Acciaierie di Sicilia ha già cancellato un turno di lavoro dopo essersi fermata per 24 ore per mancanza di materie prime come non era mai avvenuto neanche durante la pandemia. Le imprese impegnate nei già tormentati cantieri delle strade siciliane stanno per fermare gli operai sotto il peso di costi, quello dell’asfalto schizzato in alto del 600 per cento, che hanno
fatto diventare carta straccia i capitolati delle gare d’appalto. Pezzo dopo pezzo il già fragile sistema industriale dell’Isola si ritrova con tutti i suoi ingranaggi bloccati da salatissime bollette energetiche, materiali sempre più costosi e in molti casi quasi introvabili dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina. Un intero sistema che aveva ripreso a correre da non più di sei mesi, adesso frena di colpo di fronte all’incrocio fra inflazione e guerra. L’allarme a due settimane dall’inizio dell’invasione russa è ai massimi livelli tanto che Confindustria Sicilia ha incontrato d’urgenza l’assessore regionale all’Economia, Gaetano Armao per chiedere misure immediate senza le quali la crisi si tradurrà in almeno 20 milioni di ore di cassa integrazione.
«Un urlo di dolore» lo definisce la nota ufficiale degli industriali siciliani che avvertono: «Le nostre imprese non usciranno vive da questa crisi». Il centro studi di Confindustria Catania ha già fatto i primi conti e stima che i soli rincari energetici valgono quanto la prima tranche delle risorse destinate alla provincia etnea dal Piano di ripresa e resilienza: circa 185 milioni di euro.
In appena un anno, già senza l’effetto Ucraina, il costo dell’energia elettrica è schizzato da 60 a 300 euro per megawattora. Le aziende catanesi prevedono per quest’anno perdite a causa del rincaro energetico intorno al 5 per cento del fatturato. Quelle causate dal caro materie prime toccheranno circa il 10 per cento.
«Stiamo parlando di una perdita pari al 15 per cento del valore aggiunto prodotto nel territorio etneo — chiarisce il presidente di Confindustria Catania, Antonello Biriaco, all’uscita dal vertice con Armao — e la nostra provincia vale il 23 per cento del prodotto interno lordo regionale. Qui si sta fermando tutto e si rischia anche di rallentare quella spinta agli investimenti e
all’innovazione che stava facendo crescere il settore industriale». Per questo alla Regione il presidente di Confindustria Sicilia Alessandro Albanese e i vice Biriaco e Gregory Bongiorno hanno chiesto di convogliare qualcosa come un miliardo di euro per «un unico intervento sulla leva del costo del lavoro, non sono soldi che vanno alle imprese ma che servono alla diminuzione del costo dei lavoratori. Questa è la migliore manovra sociale che un governo possa intestarsi, perché solo così potrà salvare la produzione e l’occupazione». Ma il sindacato frena: «Qui c’è il rischio che il costo della vita aumenti di almeno il 15
per cento mentre salari e pensioni resto fermi — avverte il segretario regionale Cgil, Alfio Mannino. In più stanno già fioccando richieste di cassa integrazione. C’è il rischio che le famiglie siciliane in condizioni di povertà passino dall’attuale 25 per cento ad oltre il 30.