Repubblica: “Alberto Mantovani «Siamo sulla strada giusta. Ma la guardia resti alta, il virus è sconosciuto»”

L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta le dichiarazioni dell’immunologo Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas e professore emerito dell’Humanitas University.
Professore, i dati degli ultimi tre giorni fanno intravedere una luce in fondo al tunnel.
«Sono dati incoraggianti. Che però ci dicono che si deve continuare così, con le misure draconiane in atto.
Tanto al Nord, più colpito finora, quanto al Sud: in un secondo momento potremo ragionare su come mitigare il contenimento, ma non ancora».
Su cosa ci si deve concentrare adesso?
«La cura e l’assistenza dei pazienti rimane prioritaria. Dal punto di vista della ricerca, un fronte da esplorare è quello della immunità e degli anticorpi: il più grande esperto al mondo di coronavirus, Ralph Baric, anche sulla base dell’esperienza della Sars ritiene che il Sar-CoV-2 lasci una “traccia immunologica” nel nostro organismo almeno per un arco che va da 6 a 12 mesi. È dai saggi degli anticorpi, ossia dalla loro misurazione, che si potrà iniziare a “tracciare” il virus nella popolazione. Dal punto di vista epidemiologico, ma non solo».
La Lombardia ha deciso di fare i tamponi solo ai sintomatici, il Veneto ha testato molte più persone. Cosa ne pensa? «Nell’ultimo mese ci siamo trovati al centro di uno tsunami. Senza la capacità tecnologica, la disponibilità di reagenti e abbastanza laboratori validati per una mole di analisi così ampia. L’analisi di un tampone è un procedimento complesso, che richiede circa 4 ore ma fotografa solo un istante, tanto che deve essere ripetuto più di una volta. I falsi negativi sono tanti, questi tipi di test hanno dei limiti. Non a caso si stanno conducendo varie sperimentazioni per trovare nuovi metodi, come quello dell’azienda DiaSorin, che ha sperimentato un test, appena approvato dalla Fda statunitense, che consente di avere il risultato in un’ora. Detto ciò, pur con tutti questi limiti, credo che sia importante garantire agli operatori la possibilità di fare i tamponi: sono la nostra prima linea, vanno sostenuti».
In che senso?
«Se essere sottoposti al tampone rende medici e infermieri più tranquilli nell’affrontare il loro lavoro, vista anche la loro preoccupazione di essere contagiati e infettare i loro cari, è giusto che possano farlo in via prioritaria. Ma si deve pensare anche alle piccole cose: gli operatori stremati da un turno di lavoro lunghissimo devono poter fare la spesa rapidamente, è un modo per aiutarli. Vedo e sento che anche così si sta esprimendo la solidarietà di tutti».
Cosa ne pensa della sperimentazione dell’Avigan?
«In questo momento si sta facendo medicina di guerra: nell’emergenza vengono usati strumenti terapeutici diversi, pur senza avere evidenza chiara del loro funzionamento, con l’obiettivo di aiutare un paziente. Il caso degli antivirali, quale è l’Avigan, è proprio questo. Non è l’unico: ci sono altri due anti-retrovirali, la combinazione anti-Hiv Lopinavir/Ritonavir, che è stata utilizzata in Cina per curare il Covid-19. Uno studio appena pubblicato sul New England of Journal of Medicine ha però dimostrato che nei pazienti con uno stadio avanzato della malattia non sono utili. A dimostrazione che stiamo combattendo una guerra, ma che si deve coniugare la medicina di emergenza con il rigore della sperimentazione clinica, come anche enfatizzato in un report in via di finalizzazione della Commissione Salute dell’Accademia dei Lincei».
E un vaccino? Quando potremo averlo?
«Oggi sono in corso una ventina di studi, tra cui uno a Pomezia, dove già hanno sperimentato con successo il vaccino contro Ebola. In modo realistico, ci vorranno almeno 18 mesi prima di avere un vaccino. Che poi dovrà essere prodotto non in milioni, ma miliardi di dosi».
Quando questo periodo di emergenza sarà concluso, l’Italia potrà dirsi al sicuro dal Sar-CoV-2?
«Potremo abbassare il livello di guardia. In inglese ci sono due espressioni, suppression o lockdown e mitigation. Il primo è quello che è stato messo in atto in queste settimane, le restrizioni che speriamo stiano consentendo a poco a poco ai contagi di regredire: erano indispensabili, dovevano essere fatte e devono ancora rimanere in essere.
Quando potremo, si passerà poi alla mitigation, che ci consentirà di abbassare la guardia. Ma non del tutto: il virus non scomparirà, in alcuni Paesi intorno a noi è arrivato più tardi e in altri deve ancora arrivare. Bisognerà adattare il livello della guardia a questa situazione reale. Mi lasci dire una cosa, però. Noi ripartiremo. Ci rimetteremo in piedi. L’Italia si sta dimostrando un Paese straordinario, a partire dal personale sanitario che non si sta risparmiando. Al tempo stesso, la ricerca scientifica sarà il nuovo fronte: il virus è un nemico che ancora dobbiamo studiare e conoscere, ci sono ancora molte domande a cui dobbiamo dare una risposta. Dobbiamo fare ricerca, ce lo chiedono innanzitutto i pazienti».