Repubblica: “Addio Totò. Al Cep dove tutto iniziò: «Grazie a Schillaci l’Italia sa che esistiamo»”

L’edizione odierna de “La Repubblica – Palermo” si sofferma sulla morte di Totò Schillaci.

Qualche anno fa, con ironia, Totò Schillaci aveva definito il quartiere dove era cresciuto, il Cep, come «centro elementi pericolosi». Ora che Schillaci non c’è più, il Cep piange il campione che arrivò lì nel 1968, trasferendosi dal Capo. «Grazie a lui, l’Italia si è accorta che esistevamo». Nella piazzetta accanto a via Barisano da Trani, dove il piccolo Salvatore calciava palloni fatti di cassette della frutta, tutti ricordano il campione. «Mi ricordo quando suo padre Mimmo portò la famiglia qui. Era il 1968, e Totò aveva già la stoffa del campione, ma anche quando è diventato famoso, è rimasto uno di noi», racconta Franco Gnoffo, titolare di un negozio di alimentari della zona.

Il Cep ha vissuto momenti indimenticabili grazie a Schillaci, diventato capocannoniere ai Mondiali del 1990. «Sarebbe bello celebrare il suo funerale qui, nella chiesa di San Giovanni Apostolo, in mezzo alla sua gente, per dimostrare che dal basso si può arrivare al tetto del mondo», aggiunge Gnoffo.

A pochi passi, nel campetto di cemento di via Barisano da Trani, Vincenzo Rechichi ricorda: «Qui Totò giocava partite interminabili con tutto il quartiere. Si vedeva già che era un campione. Sceglieva sempre mio zio Gaetano come portiere, e le porte erano fatte con cassette della frutta. Totò si divertiva a centrare i pali tirando da lontano, lo chiamavano Speedy Gonzales». Era un mondo semplice, prima delle “notti magiche”, quando Schillaci seguiva la sua passione per il calcio nelle difficoltà della periferia palermitana.

Il quartiere Cep, con i suoi casermoni costruiti su terreni agricoli ai piedi del monte Cuccio, era popolato da famiglie povere provenienti dal centro storico. «La cosa più bella che ci ha lasciato è che grazie a lui l’Italia si è accorta del Cep», dice Giuseppe, un altro residente, «e ha dimostrato che anche in un quartiere difficile si può cambiare strada».

Rosalia Caracausi, dietro il bancone della friggitoria “Da Bartolo”, ricorda quando Schillaci tornava a Palermo dal Nord, a volte con la prima moglie Rita. La gente racconta di maglie della Juventus distribuite ai meno abbienti e di visite di giocatori come Tacconi e Lentini, venuti a onorare l’eroe locale. «La famiglia non ha mai lasciato il quartiere. Mimmo, suo padre, vive ancora qui», raccontano gli abitanti, indicando l’appartamento di edilizia popolare in via Luigi Barba.

Per un segno del destino, un pallone di pezza, sgonfio e logoro, è adagiato di fronte alla palazzina, pronto per essere calciato. Ma il dolore si espande fino al centro sportivo Ribolla, dove una rosa bianca è stata posata accanto alla scritta “Scuola Calcio Schillaci”. Il campo, però, resta vuoto. «Niente scuola calcio oggi», dice Giorgio Corona, un altro bomber palermitano, commosso dal dolore.

Salvino Pellingra, che gestisce la scuola calcio Borgo Nuovo, aggiunge: «Aspettiamo l’arrivo di Roberto Baggio. Per i ragazzi, Totò era un mito, e lui tornava spesso, anche quando non stava bene. Guardare i bambini giocare lo faceva sentire vivo».

Schillaci sembra quasi ancora presente su quel campo, come nell’ultima partita che giocò al Ribolla l’anno scorso, in un evento contro la violenza sulle donne. Era già malato, ma non aveva perso il tocco, e al posto degli occhi spiritati di Italia ’90, aveva il suo proverbiale sorriso.