L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta un’intervista ad Ariedo Braida che racconta il suo Palermo 49 anni dopo.
Ecco qualche estratto:
Cominciamo dal passato. Perché un bomber che aveva fatto storia con Varese e Cesena a suon di gol e di promozioni in A arriva a Palermo, unica società del sud frequentata sia da calciatore che da dirigente? «I rosanero venivano dalla finale di Coppa Italia e avevano ambizioni. Ma, affascinato dalla bellezza dell’Isola, la scelta è stata soprattutto romantica e convinta. Palermo? Accogliente, stupenda: molti non la conoscono, anche quelli che ci vivono. Una metropoli meravigliosa, basti pensare ai teatri. La sua vicenda sportiva è avvincente. Mondello? Ne ero e ne sono innamorato».
Con l’allenatore fu subito scontro: lei non sopportava il carattere del tecnico e i suoi durissimi metodi di preparazione e Viciani non digeriva la sua mancanza di volontà. «Vero, lui non mi amava e neanche io. Gli allenamenti mi sfiancavano. Ero critico nei suoi confronti perché non esaltava le mie qualità. Poi ho imparato la sua rivoluzione tattica e ho finito per apprezzarlo».
Amore e odio. «Devo dargli un merito. Viciani era coerente e integralista. Un precursore del tiki taka. Pretendeva di andare in porta attraverso il gioco e le triangolazioni, i passaggi stretti e il possesso palla. Eravamo in teoria pronti per la A, ma non preparati ad un calcio diverso. E comunque ho segnato sei reti per cinque vittorie. Non facevo quasi mai gol inutili».
La terza promozione della sua carriera mancata per poco. «Nei tre scontri finali, prendemmo un solo punto e, nell’ultimo, a Catanzaro, Di Marzio battendoci arrivò allo spareggio per la A, poi perso».
Ariedo era il pallino del “Gattopardo”. «Renzo Barbera mi voleva bene, un grande presidente, uomo d’altri tempi, persona adorabile che emanava eleganza e signorilità. Profonda la mia amicizia con il figlio Ferruccio».
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