Cesare Prandelli, ex ct della Nazionale, ha voluto dire la sua sulla ripresa dei campionati e sull’emergenza Coronavirus. Di seguito le sue parole rilasciate ai microfoni di “La Nuova Venezia”: «E adesso parlare di calcio proprio non ha senso.Si prende troppo sul serio, e non da oggi. Io no di sicuro, non riesco. È morto un mio amico medico, aveva 66 anni, ci avevo parlato una decina di giorni fa, sapeva di rischiare e non ha esitato a continuare a curare i propri pazienti. Il virus lo ha portato via. L’altro ieri altre due persone care, anche l’ex portiere dell’Atalanta, Zaccaria Cometti. Nei giorni precedenti altre ancora, ho perso il conto. No, al 4-4-2 proprio non riesco a pensarci».Quasi nessuno ci riesce. Mentre il Paese e gli altri sport si fermavano, nel calcio c’era ancora chi voleva giocare a porte aperte. «Il calcio è, è stato, un mondo a sé per cultura e tradizione. C’è stata una sottovalutazione ma c’è stata ovunque, non c’erano precedenti. Dove girano tanti soldi è più difficile fermarsi. Poi hanno cominciato a capire».Se per i primi ritardi possono esserci attenuanti, non possono esserci per il tentativo di riprendere gli allenamenti appena pochi giorni fa.«Una cosa senza senso. Hanno spostato le Olimpiadi, possiamo fermarci anche noi. Anzi, dobbiamo».E la ripartenza come se la immagina? «Non lo so, e non conta molto come la veda io. Dobbiamo tenere conto di quello che c’è là fuori. Bisogna lasciar decantare lutto e dolore. Ci vuole rispetto per chi ha sofferto, non si può passare dal cimitero allo stadio in un giorno. Non devono essere pronti solo i calciatori, devono esserlo anche gli appassionati. Il calcio viene dopo, prima ci sono le soluzioni per la gente».La frase “Nulla sarà mai come prima” certe volte si usa a sproposito. Stavolta invece…«Sarà così per tutti. Dovremo ricostruire un modo di vivere. Nel calcio in particolare, e in misura minore anche negli altri sport, dovremo ricostruire i rapporti fra le componenti, la concezione delle squadre dilettantistiche, i settori giovanili, la formazione, la dimensione umana. Il virus ha colpito tutti».Dunque può essere anche un’opportunità.«Certo, può e deve rappresentare un’opportunità per tanti, nuovi modi per vedere il futuro. L’altra sera in tv ho ascoltato il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri, uno che vive sotto scorta da anni, parlare di rivolte delle carceri che cominciano tutte insieme. Non è per caso e sono segnali da cogliere. Il lavoro nero? Certo, dobbiamo dare da mangiare anche a chi lavora in nero ma dobbiamo fare in modo che dopo il “nero” non ci sia più. È un’occasione per sistemare quello che abbiamo rotto». Ha fiducia in questa Italia? «Sì, leggo e vedo storie di medici e ricercatori capaci. Mettiamo a loro disposizione mezzi per lavorare al meglio nell’interesse di tutti. Ripartiamo da lì».Cultura, sanità e scuola. Tre punti fermi.«Certo, una riscoperta dei valori, quelli della salute su tutti. Sono rimasto sorpreso nel leggere storie di persone che raccontano di aver finalmente conosciuto il dirimpettaio, di aver scoperto senza che nessuno lo chiedesse i valori della solidarietà. C’è chi si offre di fare la spesa per un anziano che abita di fronte. C’è speranza».Il mondo del calcio è rimasto sempre al di fuori di questa logica. Quando era ct della Nazionale portò i suoi calciatori a Rizziconi, su un campo di calcio confiscato alla ‘Ndrangheta, ad Auschwitz…«Allora il calcio non era ancora pronto a questo approccio».Oggi, invece?«Oggi sì. Qualche giorno fa un suo collega del Giornale di Brescia mi ha detto che Dimitri Bisoli, un ragazzo di 26 anni, che gioca in Serie A, ha chiesto di fare volontariato, di aiutare le persone in difficoltà. Bello, è un messaggio immenso, di fiducia. Però mi chiedo: e dopo? I contratti cosa dicono? Le società, passata questa emergenza, permetteranno a un calciatore di dedicare tre, quattro ore al giorno a cose come queste?».Eppure ai suoi tempi il contatto con la gente era molto più semplice. Ed è un problema tutto italiano. All’estero non è così. Nel basket Nba i giocatori sono obbligati a passare del tempo con i tifosi, fare selfie, chiacchierare.«Vero, il nostro calcio si è allontanato dalle persone ma dovremo tornare indietro. Luca Toni, quando dalla Fiorentina passò al Bayern, mi raccontava che là per lui era più dura ma non per l’allenamento. Era dura “prima” quando era prevista un’ora e mezzo di incontri con i tifosi. Poi si è abituato».Il calcio italiano si prende troppo sul serio.«Sì, è così. Il calcio è 90 minuti di spensieratezza. Anche nel “dopo” sarà importante giocare pensando alle persone che durante la partita dimenticano quello che c’è alle spalle. Ma se chi deve andare allo stadio non è pronto è un pasticcio».Ci sono però segnali positivi che vengono dalla base. Un capo ultrà dell’Atalanta ha detto: «Bergamo e la sua gente vengono prima della squadra. Per noi il campionato finisce qua». Gli ultrà di Brescia e Atalanta hanno esposto uno striscione con scritto “Uniti nel dolore”.«Gli ultrà, se togliamo quel tre per cento di violenti o delinquenti, sono persone straordinarie. Quando ero alla Fiorentina organizzavano collette per bambini che dovevano farsi operare in strutture specializzate o per famiglie indigenti. Noi partecipavamo. Era spontaneo, per loro di più».Sarebbe bello ripartire con un segnale di rottura.«Sì, magari un’amichevole Atalanta-Brescia, con Roberto Baggio e Carletto Mazzone. Abbracciarsi per onorare i lutti di tutti».Servono esempi che sono lezioni. Come le parole del premier albanese Edi Rama mentre accompagnava 30 fra medici e infermieri che venivano ad aiutarci.«Quando ha detto “forse perché non siamo ricchi ma neanche privi di memoria, non ci possiamo permettere di non dimostrare all’Italia che gli albanesi e l’Albania non abbandonano mai l’amico in difficoltà”… beh, avrei voluto abbracciarlo. Quando sarà tutto finito la prima vacanza sarà in Albania».Rama tifa Juventus fin da bambino, eppure ha dichiarato di aver esultato per il triplete dell’Inter, perché affascinato da José Mourinho. Impensabile da noi. «Altra lezione». Un’altra ancora è stata rappresentata dall’esserci trovati all’improvviso dalla parte sbagliata del muro. «Certo, abbiamo capito molte cose. Speriamo che tutti ne facciano tesoro». Non sarà semplice ripartire. In campo e fuori. «Dovremo ripartire su altre basi. Riscopriremo il valore di un abbraccio, quando si potrà. E di tante altre cose che abbiamo scordato. Faremo con i soldi che ci saranno».Bella medicina, in fondo. «Sì, in fondo è come se fossimo stati tutti contagiati. Chi ha perso i propri cari o gli amici ma anche quelli, pochi purtroppo, che hanno avuto la fortuna di vivere i lutti con maggiore distacco. Quando sento parlare di sacrificio non riesco ad associare questo concetto con le restrizioni. Il sacrificio è quello di chi è finito all’ospedale, di chi non ce l’ha fatta, dei medici e degli infermieri. Di chi non ha potuto neanche regalare un funerale e un abbraccio ai cari che ha perduto. La medicina giusta adesso? Siamo stati tutti contagiati. Anche chi non ha lottato con la malattia, chi non ha avuto amici o parenti intubati senza sapere se potevano tornare. Penso e spero che dopo saremo più uniti e più consapevoli».Per questo ci vorranno anche altre certezze, soprattutto economiche. Il governo, le Istituzioni in genere, lo Stato dovranno fare la loro parte.«Certo lo Stato è fondamentale, cambierà anche il modo di intendere la politica. Così anche il modo di approcciarci con l’informazione, in modo particolare con la televisione. Io dalle 18 fino a quando vado a dormire non faccio altro che guardare dentro quello schermo dove prima era pieno di urlatori, di programmi inutili costruiti sul nulla. La televisione degli ultimi trent’anni non ci ha fatto capire più niente». Insomma, un grande Processo di Biscardi applicato a tutto il resto. «Certo, ma il Processo di Biscardi era innocuo, era un teatrino, il bar Sport portato in tv. Il calcio non è la vita, parlare di pallone non è come trattare cose serie. Il problema è che tutto era così. Le cose stanno cambiando, ci sono professori universitari, virologi, esperti che ci dicono le cose come stanno. E ci sono sempre meno quelli che urlano e basta. Anche i politici devono ascoltare, prendere atto e partire dalla scienza».È proprio sicuro che dopo potrà essere così? «Me lo auguro, perché non ci sono alternative: questo è uno tsunami». Un calciatore che può fare? «Il calciatore è un privilegiato, deve aiutare gli altri». Il calcio è pronto per questa rivoluzione? «Non può fare altro, che sia pronto o no. Cambierà tutto, cambierà anche il calcio».