Pallone d’oro in guerra, Belanova in trincea per la sua Ucraina. Il super bomber ’86 ora carica i soldati

L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sul pallone d’oro, Belanov, in guerra.

I gor Belanov va alla guerra. Igor chi? Il tempo scorre. Non tutti gli over 45 ricordano, non tutti i giovani sanno: Igor Belanov è il Pallone d’oro del 1986. Oggi Belanov è ucraino, ma 46 anni fa era sovietico, perché la sua Ucraina era una della Repubbliche dell’Urss, dissoltasi nel ‘91. Nel 2022 la Russia di Putin ha invaso l’Ucraina e Belanov, originario di Odessa sul Mar Nero e lì residente, si è unito alle truppe di Zelensky. Si è fatto ritrarre in trincea con un mitra in mano e negli ospedali vicino ai feriti: abbracci, foto di gruppo e in bella vista il Pallone d’oro ricevuto da France Football.

Non c’è evidenza che Belanov abbia combattuto, al momento la sua sembra una partecipazione di supporto. Non è escluso che lo possa fare, ma a 61 anni è un riservista. Personaggio popolare nel suo Paese, si impegna come motivatore. Su Facebook ha scritto un post patriottico: «Incredibile coraggio e inesauribile spirito combattivo: tutto questo e molto altro caratterizza i nostri combattenti. Pace all’Ucraina, e gloria a chi si oppone agli occupanti, sfacciatamente venuti a distruggere la nostra terra e il nostro popolo libero ed eroico. Crediamo nella nostra vittoria immediata».

Un allievo del Colonnello. Igor Belanov è uno dei tre ucraini ex sovietici vincitori del Pallone d’Oro. Il primo Oleg Blochin, nel 1975. Il secondo lui, Belanov, nel 1986. E il terzo Andriy Shevchenko, nel 2004. Tutti e tre nella Dinamo Kiev sono stati allievi di Valery Lobanovski, scomparso nel 2002 e detto il Colonnello perché aveva servito nell’Armata Rossa e per i suoi durissimi metodi di lavoro. Lobanovski, laureato in ingegneria, applicava le scienze e le tecnologie al calcio. A Koncha Zaspa, il centro d’allenamento della Dinamo, “torturava” i giocatori, li portava oltre ogni limite di fatica. Lobanovski scovò Belanov nel Chernomorets di Odessa. Igor e era tecnico e veloce – più avanti lo avrebbero accreditato di 5 secondi e 7 sui 50 metri -, ma mancava di forza. Leggenda vuole che al primo giro di pista assieme ai nuovi compagni della Dinamo fosse stato doppiato e che Lobanovski si fosse speso molto per convincerlo restare. «Volevo ritornare dalla mia famiglia a Odessa», raccontò Igor.

No Diego. Belanov rimase a Kiev, dove abitava in una casa popolare, in ossequio al comunismo allora vigente,e nel 1986 vinse il Pallone d’oro. Raccontata così, la cosa suscita stupore: ma come? Belanov Pallone d’oro nell’anno del Mondiale di Maradona in Messico, del gol del secolo agli inglesi e di tutto il resto, inclusa la mano de Dios ? Semplice, all’epoca il Pallone d’oro era riservato ai giocatori europei e Diego era argentino. Belanov, stempiato e di media statura, vinse perché molti dei giornalisti votanti rimasero incantati dalla sua leggerezza di punta rapida e totale, capace di interpretare ogni ruolo d’attacco. Quanto a risultati, in quel 1986 Igor vantava la Coppa delle Coppe conquistata con la Dinamo Kiev. Nel torneo segnò 5 gol come i suoi compagni Blochin e Zavarov, in finale la Dinamo disintegrò l’Atletico Madrid. Pochino, per giustificare un Pallone d’oro, ma Belanov al Mondiale rubò l’occhio per la tripletta al Belgio negli ottavi, un tris che non bastò perché l’Urss venne sconfitta per 4-3, però i giurati apprezzarono lo stesso. Belanov punzecchiò Maradona: «È un giocoliere. Preferisco il mio compagno Zavarov (poi juventino, ndr ). Maradona fa tutto da solo, noi siamo inseriti in un grande collettivo». Un’opinione originale, che farà felice i fondamentalisti del giochismo.