L’edizione odierna de “Il Secolo XIX” ha riportato un’intervista a David Platt, una vecchia conoscenza per il popolo rosanero. Nel 2018, infatti, l’ex calciatore della Sampdoria, era entrato nel quadro dirigenziale dei rosanero quando in Sicilia sbarcarono gli inglesi con Zamparini guidati da Richardson. Il dirigente è tornato a parlare ai microfoni del sito ufficiale del club ligure in qualità di ex giocatore blucerchiato raccontando il suo legame con la piazza doriana.
Ecco le sue parole:
«Ho giocato per tante squadre nella mia carriera, buone squadre e belli ambienti. Ho bei ricordi di tutte, ma qui è stato qualcosa in più. Ho fatto i migliori anni della mia vita. Quando sono andato via non volevo, ma la Sampdoria ha ricevuto un’offerta molto buona. A 29 anni però avevo pensato che avrei voluto ritornare a giocare in Inghilterra e vincere quanto più possibile, ho parlato con il presidente e per la Sampdoria è stata una cosa giusta, guadagnare i soldi della mia cessione e iniziare un altro ciclo. Sono arrivato in un momento giusto e sono partito nel momento giusto, ma con rammarico. Già dall’Aston Villa la Sampdoria mi ha cercato. Dopo i mondiali del ’90 in realtà anche il Genoa mi aveva cercato, ma non sono andato. C’era questa voce che la Sampdoria mi voleva. Sono andato al Bari e poi ho ricevuto la chiamata di Roberto Mancini, mi ha detto: “Hai la scelta tra quattro squadre, ma devi venire qui”. C’era anche la Juventus e ho scelto di andare lì, non è andata bene. Avevo un infortunio al ginocchio, ho giocato da regista. Alla fine ho lasciato la Juventus. C’erano delle offerte dall’Inghilterra, ma io non volevo tornare là. Mancini ha rotto le scatole a Mantovani. Il mio procuratore è andato a bussare alla porta del presidente dicendo che volevo venire alla Sampdoria. Fin dal primo giorno ho capito che alla Sampdoria era un’altra cosa: tifosi, squadra, ambiente. Era una cosa incredibile. Le partite volavano, ci divertivamo in maniera incredibile».
«All’inizio la Coppa Italia non sembra importante, poi quando arrivi ai quarti lo diventa. Mi ricordo con lo 0-0 ad Ancona e poi la festa che c’è stata a Genova. Alzare la Coppa in campo è stato bellissima. Ho riquadrato la maglia non lavata per non cancellare quella memoria. Era un momento difficile in squadra. Eravamo in zona retrocessione, c’era un nuovo ciclo. Lo spogliatoio era un po’ in tensione. Avevamo già parlato con il presidente. È accaduto troppo presto. Pensavo: con tutti questi problemi, con la stampa, giustamente ci sono delle regole da rispettare e io non avevo il patentino. Si diceva che non potessi andare in campo e negli spogliatoi. Io ho pensato: faccio il mio lavoro e vado avanti. Dopo due mesi sono tornato dal presidente a dirgli che in una situazione del genere c’era il rischio di retrocedere e che forse per la Sampdoria era meglio che io andassi via. Questo per non dare alibi agli altri giocatori. È stato un rammarico. Sono rimasto tifoso di tutte le squadre in cui ho giocato. Seguo sempre la Sampdoria. Quando sono tornato ieri sera, con mio figlio, il calore dei tifosi mi ha troppo emozionato. Il pensiero è quanto ti manca ancora dopo 30 anni. È stata una bella cosa e ora dovranno passare altri dieci anni per superare questa emozione incredibile»
Cosa fa nella vita ora? «Vivo a Manchester. Dopo i 3 anni al City con Mancini, ho lavorato un po’ in tv, poi mi sono dedicato alla famiglia. Ho la passione del golf, sono un buon dilettante, ma con chi fa sul serio non c’è storia».