Palermo. L’altro Baldini che inventa gli schemi: «Papà pretende molto. Io arrivato senza stipendio. Poi la società…»
L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma su Baldini Junior, il figlio del tecnico rosanero Mattia il quale ha parlato del padre e della stagione trionfale dei rosanero.
Figli di allenatori celebri nello staff dei padri. Succede in Europa e anche dalle nostre parti. Non c’è solo Davide Ancelotti che ha vinto la Champions con il mitico Carlo, o il rampollo dello scudettato Pioli. E potremmo continuare con Maran, Prandelli, Pochettino e perfino Mourinho. Mattia Baldini è l’ancora a cui Silvio si aggrappa nei momenti difficili e in quelli di gioia, un tuttofare, un po’ “vice”, un po’ “match analyst”, ma soprattutto uomo squadra e valore aggiunto.
Da un Baldini all’altro. Dal “pazzo” Silvio all’aspirante rivale che vuole costruirsi un cammino indipendente, per sganciarsi da una personalità ingombrante e per non sentirsi protetto dal parente famoso. Un predestinato, piuttosto, nato a Massa il 15 gennaio 1991, quando papà, allenando il Forte dei Marmi in Promozione, vinse il suo primo campionato.
Mattia non ci gira intorno: «Privilegiato, sì. Perché il mestiere del babbo mi ha permesso una vita agiata. Con lui, poi, ho avuto la fortuna di iniziare la mia scalata dalla C mentre altri partono da categorie inferiori. Raccomandato, no: fa tutto tranne che favorirmi. È persona con principi saldi. Spero, il prima possibile, di camminare con le mie gambe. Vorrei autonomia, mettermi in gioco perché quando rivolgo un rimprovero non si sa mai se è dettato da me o dall’alto».
Il “bello e la bestia”, un amore e un rapporto che va oltre le apparenze.
Raramente Mattia lo chiama papà, per lui è solo il mister, il babbo o Baldini. «Una figura totalitaria, le scelte le prende lui e basta. Puoi dargli un consiglio, appellarti ai dati ma alla fine decide di testa sua. Il mio approccio con l’ambiente sportivo non è semplice perché quando arrivi sei sempre l’erede di Baldini, tutti hanno dei dubbi e si chiedono se sarò all’altezza. Se poi mi facessi forza col nome, papà non mi vorrebbe più come figlio. Il mister pretende molto. A volte, cerca un pretesto o alza la voce per migliorare il livello degli allenamenti e delle attenzioni. Lo so che non è comodo però ne conosco i valori e ormai siamo insieme da quattro anni e mezzo». Il cognome, più che una marca o una garanzia, diventa, a volte, l’ostacolo più problematico.
«Cerco sempre di togliere l’etichetta che porto addosso. Se le cose vanno male è scontato che la gente speculi. L’anno scorso, si sono inventati che alla Carrarese prendevo 5.000 euro. Ma devi essere bravo a farti scivolare le cattiverie e vedere da dove piove la critica».
Neppure a Palermo è stato agevole. Quando Baldini presentò la lista dei collaboratori, qualcuno storse il naso. E l’allenatore per evitare problemi disse: «Viene gratis, la paga gliela do io».
Ma non è la regola di Mattia: Per me andare senza stipendio a 31 anni era mortificante. Fu la mamma a convincermi per mostrare di cosa ero capace. E debbo ringraziare la società perché, nel corso del campionato, mi ha fatto il contratto riconoscendo i miei meriti». Silvio Baldini è uno che deraglia da quando è nato. Sente le voci di dentro, parla di premonizioni e destino. «Non è un padre che discute e consiglia, insieme ci troviamo quando si va a caccia, la nostra passione, e ci perdiamo nell’infinito. Il resto è lavoro. So chi è e quali virtù porta».
La molla per il pallone nasce da piccolo. «Centrocampista o terzino sinistro, con buona tecnica. Il babbo giocava da difensore. O meglio, non giocava perché era scarso e si è fermato ai piani bassi (ride, ndr). Io sono arrivato alla D, l’avventura è finita prima di cominciare. Da bambino mi sono rotto radio e ulna facendo una rovesciata, l’ultimo anno tibia e perone. Interista come lui? No, tifo solo per la Carrarese». Dopo il liceo scientifico, ha preso la licenza Uefa B che permette di fare il “secondo” fino alla serie C. E non è più una novità quando sostituisce Baldini in panchina: l’esordio proprio con la Carrarese, insieme a Maccarone che era il secondo (ma non aveva ancora il tesserino). «Quel giorno vincemmo a Livorno».
Poi, è capitato con Lucchese, Como, Pergolettese e, nella stagione della B, per il Covid. «Ho dato una mano a Nardini, il vice, che papà apprezza particolarmente». La promozione dei rosa, un “miracolo” per tutti meno che per Mattia. «A me sembra quasi naturale. Ma razionalmente è stato qualcosa di incredibile. Allo stadio andavano in pochi. Solo un “folle” come lui poteva prevedere un risultato del genere, fin dal primo minuto».
L’abbraccio con Brunori? «Curo gli schemi e ne avevamo studiato uno che ad Avellino risultò vincente. Dopo il gol, Matteo cominciò a correre e credevo andasse ad abbracciare un compagno, invece mi è venuto a cercare e nell’intervista poi mi ha ringraziato. Un ragazzo straordinario e speciale, qualunque sia la sua scelta va accettata e applaudita per quello che ha regalato alla città.