L’edizione odierna do Tuttosport si sofferma sulla carriera di Corini.
Uno che ha fatto dei lanci lunghi e della volontà la sintesi della carriera non poteva che dare i suoi primi calci nella Fionda e poi nella Voluntas. A dieci anni, Eugenio Corini era già il Genio, tanto che in un torneo di Goteborg, pur escluso dalla finale per limiti di età, venne premiato da Gunnar Gren, il professore del famoso trio Gre-No-Li del Milan, come migliore talento della manifestazione. È stato uno dei giocatori più importanti della storia del Chievo e dei rosa. Un simbolo che non sarebbe mai andato via e che a Palermo, dove sono nel frattempo sbocciati anche l’amore e una nuova famiglia, aveva trapiantato il cuore.
Infatti, quando l’8 giugno del 2007 Eugenio annunciava in una conferenza stampa, non ufficiale e preparata dagli amici, di non volere rinnovare il contratto per incomprensioni con la società, i tifosi organizzarono una manifestazione di protesta allo stadio. Oggi, la sua esistenza familiare ruota attorno ad Aurelia la moglie palermitana e alle figlie Sofia e Carlotta; e agli altri due figli Alessandra e Filippo avuti dalla prima unione. Proprio Filippo, anni fa, autore in pieno delirio Uefa di un… gol memorabile: “Barbera” in festa, giocatori in campo con mogli e figli, un soldo di cacio di tre o quattro anni, appunto Filippo, che, vestito da Corini e accompagnato dal papà, e dal boato di gente entusiasta, si fa l’intero campo di corsa e mette il pallone in rete per suggellare la giornata da leggenda.
Ai tempi, Corini fu uno dei ventenni più impiegati nella Juve e l’avvocato Agnelli lo battezzò: «Lei è un incrocio di Falcao e Giannini». Che emozione! Alla Samp non andava d’accordo con Mancini, a Napoli fu tormentato dalla pubalgia, con il Verona e con il Chievo si ruppe due volte il crociato. E riuscì a tornare più vivo che mai. Singolari i suoi esordi da allenatore: con il Portogruaro si dimise sulla scaletta del pullman che lo stava portando in ritiro e a Crotone la sua avventura durò poche settimane. Attenzione, perché il ragazzino della Fionda e della Voluntas, se non vede chiaro, riparte da zero.
Lo ha fatto con Zamparini presentando le dimissioni anche da allenatore, dopo una dura replica al patron, a difesa di una dignità calpestata da frasi come: «Il Palermo gioca il calcio peggiore in A». Papà Carlo, democristiano e cattolico, lo lasciò troppo presto dopo una vita spesa per il lavoro, mamma Giuditta non dormiva mai per stargli vicino e per coccolarlo assieme a Maura e Anna, le sorelle. A Bagnolo Mella, un paese come tanti, le sue origini. Eugenio non le ha mai rinnegate. Poi, a Brescia, frequentò per due anni la scuola di elettromeccanica e smise perché a sedici anni era già in A. Rinuncia senza troppi rimpianti, gli piaceva solo l’italiano. La sua giornata estenuante tra sveglia all’alba, partenza per Brescia con lo zaino della scuola e la borsa del calcio, rientro di sera, stanco morto. Prende tempo: «Un anno e mezzo per sfondare, altrimenti torno sui banchi». Intanto, sentiva il dovere di aiutare papà, che nella ferriera si era bruciato in tutto il corpo, e mamma che passava il tempo tra casa e bar: alzataccia alle quattro e trenta, corsa al mercato per scaricare frutta e verdura, infine gli allenamenti. Chiese un altro lavoro. Accontentato: aiuto imbianchino.
Per fortuna, dopo due mesi e mezzo il debutto in B, in Atalanta-Brescia, 3 gennaio 1988. «Come dimenticare?». Mezza squadra fuori, Giorgi (ex terzino palermitano anni Sessanta, deceduto nel 2010, ndr) decide di farlo debuttare e così l’imbianchino-fruttivendolo diventa… Corini e passa alla Juve. Suo padre era interista, mamma non sapeva neppure cosa fosse il calcio, poi sarebbe diventata la tifosa numero uno, interista anche il regista goleador. Altobelli e Beccalossi, gli idoli, poi Falcao per ruolo e caratteristiche tecniche. Da lui ereditò il numero cinque sulla maglia dopo ore e ore di partite brasiliane viste in un canale privato.