Secondo quanto riporta “Repubblica”, il bacio sulla bocca come investitura, le scommesse, il controllo capillare del territorio ma soprattutto le estorsioni, a tappeto, riprese non appena i negozi hanno riaperto dopolla chiusura per Covid-19. Tutti segnali che hanno spinto il questore Renato Cortese a lanciare un appello ad imprenditori e commercianti a poche ore dall’operazione antimafia della squadra mobile guidata da Rodolfo Ruperti che ha assestato un duro colpo al mandamento della Noce con undici arresti.
«Rivolgo un appello agli imprenditori e agli operatori economici. Le estorsioni sono da sempre un fatto ignobile, odioso e immorale. Dopo l’emergenza Covid questo è il momento della ripartenza per loro, ma anche gli uomini di Cosa nostra stanno tentando di battere a tappeto tutte le attività per riprendere le estorsioni – dice Cortese – Oggi lo Stato ha tutti gli strumenti per aiutare chi lavora ed è in difficoltà, noi siamo qui a fianco degli imprenditori. Oggi non ci sono più alibi per cedere al pizzo e alla mafia».
Per Cortese il rischio è gettare al vento anni di lavoro per strappare il tessuto produttivo dalle mani degli estorsori. «Invito tutti – aggiunge Cortese – a stare molto attenti che questa crisi non venga strumentalizzata. Noi conosciamo i nomi e cognomi di questi soggetti di Cosa nostra, sappiamo cosa fanno e come si muovono. Noi siamo vicini alla società e agli operatori economici: sottomettersi oggi vuol dire dare nuove chances a Cosa nostra di riprendersi porzioni di controllo del territorio. È un passo indietro che non possiamo permettere. Quindi dico: contattateci con le modalità e le forme che preferite, ma denunciate ogni tentativo di estorsione o di infiltrazione mafiosa nelle vostre attività».
L’operazione “Padronanza” che ha riguardato soprattutto il quartiere Cruillas è scattata all’alba con un centinaio di agenti che hanno eseguito le 11 misure cautelari firmate dal gip su richiesta dei sostituti procuratori della Dda Amelia Luise, Vincenzo Amico e dall’aggiunto Salvatore De Luca. Gli uomini della sezione criminalità organizzata diretta da Gianfranco Minissale hanno arrestato Salvatore Alfano, 64 anni; Girolamo Albamonte, 39 anni; Giuseppe Cardella, 50 anni; Angelo De Luca, 36 anni; Francesco Di Filippo, 42 anni; Vincenzo Lanno, 27 anni; Francesco Paolo La Rosa, 55 anni; Biagio Piraino, 68 anni; Nicolò Zarcone, 37 anni. Ai domiciliari sono finiti Giuseppe Bondí, 39 anni, e Vincenzo Runfolo, 36 anni. Tutti gli indagati a vario titolo. Sono accusati di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione aggravata, trasferimento fraudolento di valori aggravato ed altro.
Uno dei simboli dell’indagine “Padronanza” è il bacio sulla bocca, nella piazza principale del quartiere, fra Settimo Mineo e Salvatore Alfano. Un rituale che sanciva il passaggio di consegne, che Alfano era diventato il nuovo padrino della Noce, il clan del centro città che Totò Riina diceva di “avere nel cuore”. Un bacio sulla bocca dato dal boss più anziano dell’organizzazione, quel Settimo Mineo che ha presieduto la prima riunione della Cupola dopo la morte del capo dei capi, avvenuta nel 2017. Cosa nostra cambia, ma resta sempre la stessa. L’ultima indagine della polizia svela che i vecchi rituali continuano ad alimentare la vita quotidiana di un’organizzazione criminale che non rinuncia ai suoi affari, nonostante arresti e sequestri.
Nel dicembre di due anni fa, la procura di Palermo aveva bloccato la riorganizzazione della Cupola, che già una volta si era riunita, Alfano avrebbe dovuto partecipare agli incontri successivi. Adesso, l’inchiesta della squadra mobile racconta che il clan della Noce puntava a un rigido controllo del territorio, fra estorsioni e persino la gestione delle giostre, negli ultimi tempi i boss si erano lanciati nel settore delle intermediazioni immobiliari.
Mineo andava a trovare spesso Alfano nella concessionaria di famiglia, in piazza Principe di Camporeale. Già questo un segno di rispetto. Di sicuro, sia Mineo, che ha 82 anni, e Alfano, 64, erano degli scarcerati eccellenti di Cosa nostra: ufficialmente, avevano finito di scontare il loro debito con la giustizia ed erano tornati liberi. Ma dall’organizzazione non si esce se non in due modi: o con la morte o con la scelta di collaborare con i magistrati. E i due padrini si erano rimessi in piena attività. A modo loro, con i gesti che avevano conosciuto nella Palermo ruggente degli anni Settanta e Ottanta. Già allora il bacio in bocca fra due mafiosi era gesto importante, per rafforzare il senso di appartenenza all’organizzazione. E negli ultimi anni tanti altri baci sono spuntati nelle intercettazioni. Baci per suggellare un patto, una decisione, un tradimento.
Il bacio è rimasto il segno del potere mafioso. Da ostentare, anche nella Palermo del 2020, che sembra diventata il set del Grande fratello per quante microspie e telecamere sono piazzate dall’antimafia nei territori più caldi. I mafiosi lo sanno, ma non riescono a fare a meno di apparire. Alla Noce, erano in tanti a rivolgersi ad Alfano per un favore, un consiglio, una mediazione.