Palermo, i boss volevano lanciare una lista civica. 8 arresti: «Se non c’è una candidatura giusta, siamo fuori da tutto»

«Voglio fare una bella lista civica, senza partito – diceva il boss – una lista con i cristiani giusti, se no non fai niente». Secondo quanto riporta “Repubblica”, i padrini siciliani non si fidano più degli intermediari con la politica, puntano direttamente a una propria formazione, con tanto di candidato sindaco (CLICCA QUI).

L’ultima indagine della Procura di Palermo e dei carabinieri del nucleo investigativo, che stanotte ha portato a otto arresti, svela il progetto lanciato da un gruppo di boss della provincia per le elezioni amministrative che dovevano tenersi in questi mesi: «Se non c’è una candidatura giusta – si sfogavano – noialtri restiamo sempre fuori da tutte le parti».

L’ultimo laboratorio della politica mafiosa si è sviluppato a Misilmeri, grosso centro del Palermitano in cui operava un clan vecchio stampo, che aveva a capo un nome storico di Cosa nostra, Salvatore Sciarabba, già arrestato per mafia.

Le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dai sostituti Gaspare Spedale e Bruno Brucoli hanno registrato in diretta i summit. In uno di questi, tre anni fa, si parlava di politica. Con uno sguardo proprio al 2020. Dice il generale Arturo Guarino, il comandante provinciale dei carabinieri: «Nonostante i colpi inferti, la struttura criminale continua a mostrare grandi capacità di rigenerazione e tenta ancora una volta di controllare il territorio con varie attività, sia nel campo economico che in quello delle infiltrazioni nelle amministrazioni comunali».

I boss volevano avviare un vero e proprio percorso per creare la loro lista. Così teorizzava l’ideologo del clan, Domenico Nocilla, che aveva lanciato l’idea della formazione civica: «Noi abbiamo un amico in comune – diceva – si chiama Nino… Nino Calandrino… da tempo che glielo dico, Nino candidati». L’ideologo della politica mafiosa spiegava: «Se non sei là dentro non ci esce niente, quindi pare che sia convinto, fermo restando…che non diamo disturbo a nessuno».

Sembra di sentire le parole che vent’anni anni scriveva il capomafia Bernardo Provenzano in un pizzino, parole di grande sfiducia nei confronti dei politici: «Ora mi informi che hai un contatto di buon livello, che permetterebbe di gestire, molti e grandi lavori, vorresti sapere cosa ne penso io: ma non conoscendo il nome non posso dirti niente… perché oggi come oggi, non c’è da fidarsi di nessuno, possono essere truffaldini, possono essere sbirri, possono essere infiltrati, e possono essere dei sprovveduti. E possono essere dei grandi calcolatori…».

La rottura con la politica della Prima Repubblica era già avvenuta alla vigilia delle stragi Falcone e Borsellino, il 12 marzo 1992, con l’omicidio dell’eurodeputato Dc Salvo Lima, ritenuto colpevole di non essersi interessato abbastanza per evitare le condanne del maxiprocesso. Dopo le stragi, era poi arrivato il tentativo di un pezzo di Cosa nostra di creare un movimento autonomista, Sicilia Libera.

L’idea di un partito della mafia è rimasta. A Misilmeri i boss puntavano tutto sulla lista civica, che poi però non si è realizzata perché a fine 2018 il blitz “Cupola 2.0” ha portato in carcere i mafiosi protagonisti della riorganizzazione dei clan, e fra questi anche alcuni uomini d’onore della provincia: Filippo Bisconti, coreggente del mandamento assieme a Sciarabba, che ha poi scelto di collaborare con la giustizia; Vincenzo Sucato, reggente della famiglia di Misilmeri, è stato invece il primo detenuto morto per Covid in carcere.

Adesso, il nuovo blitz blocca un altro pezzo del mandamento mafioso di Misilmeri, che era impegnato soprattutto nelle estorsioni a imprenditori e commercianti, per rimpinguare le casse dell’organizzazione. I provvedimenti riguardano: Salvatore Sciarabba, Claudio Nocilla, Stefano Casella, Giuseppe Bonanno e Alessandro Imparato.

Un sesto provvedimento è per Carlo Noto, l’imbianchino che ospitava a casa sua i summit del clan di Misilmeri: dal 2018, risulta emigrato per motivi di lavoro negli Stati Uniti, non è stato possibile arrestarlo. Ai domiciliari sono andati invece Giuseppe Rizzo e Giuseppe Contorno.