L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma su Palermo-Genoa e le parole di Ignazio Arcoleo.
Non è solo una sfida tra big. Almeno per lui. Palermo-Genoa è, infatti, la storia di Ignazio Arcoleo, una lunga trama di emozioni vissute con le due maglie: finali di Coppa Italia, una promozione in A con De Grandi, un’altra con i rossoblu di Simoni, la favola dei “picciotti” creata dal nulla ed esportata in Europa. Fino al videoclip “Radici e ali” scolpito dalle rughe del vecchio campione, oggi 74 anni, per la rinascita dopo il fallimento. Un film che comincia negli anni Sessanta. Con la Juventina di Barbera e Vycpalek. «Cesto mi insegnò tutto: la tecnica, come battere le punizioni, i tiri al volo. Ore e ore in campo. Con il figlio Cestino eravamo fratelli inseparabili».
Improvvisamente le strade si sarebbero divise: Cesto con la Juve, Ignazio in rosa simbolo dell’ultimo Palermo in A, prima dell’era Zamparini. In mezzo il disastro aereo di Montagnalogna nella quale Cestino avrebbe perso la vita. «Ci riabbracciammo alla Favorita. Segnò Altafini, la Juve vinse e, quel giorno, disputai una partita esaltante. Tra lacrime e sorrisi, nuovamente insieme al mio maestro sia pure da avversari. Vycpalek mi promise che mi avrebbe portato alla Juve. Quando, mesi dopo, giocai a Torino contro il Toro, lo stato maggiore della Juve era in tribuna ma venni utilizzato da terzino su Claudio Sala. Abituato a scontrarmi con Capello, Rivera, De Sisti mi trovai fuori posizione e persi l’occasione».
L’anno prima, la promozione in A e il matrimonio con Angela senza viaggio di nozze. Come Brunori. «Avevamo circa dieci punti di vantaggio, Barbera mi spinse a sposarmi a giugno “così andiamo in America per una tournée con i compagni, ci tengo…”. Nel frattempo la squadra perdeva colpi e, a fine cerimonia, Ninetto De Grandi portò i giocatori in ritiro fino all’appuntamento decisivo, a Napoli, contro il Sorrento. Intanto, la gita negli Stati Uniti (sorride, ndr) era saltata».
Da allenatore, senza procuratore, come Baldini. Ritiene di avere pagato questa scelta? «Mi dispiace che Baldini sia andato via perché ho profonda stima dell’uomo e del tecnico. Il mio rifiuto al Napoli? Dissi solo: “Ne parliamo a fine campionato”. Poi, il presidente Ferrara mi propose il rinnovo e per una questione di cuore accettai. Non piango sul latte versato e non so se ho sofferto o meno il fatto di non avere un agente. Ritenevo, da persona matura che aveva studiato, di potermi gestire da solo. Rispettavo il lavoro degli altri, forse non capivo, o non volevo capire, che stava cambiando qualcosa».
Da Mirri si aspettava qualcosa? «No, non c’era alcuna promessa. Mi avevano solamente chiesto di diventare attore del rinnovamento. Partecipai al filmato con immensa disponibilità perché amo Mondello, ogni vicolo di questa città, la maglia, i colori, i tifosi».
Dalla D alla B, un bel passo in avanti. «Sono convinto che in poco tempo questa nuova proprietà riuscirà a soddisfare il desiderio, legittimo, del ritorno in A e di aspirazioni importanti».
Palermo-Genoa: ricordi. «Di una giovinezza che non tornerà più, degli anni in cui ero protagonista con maglie diverse, quella col grifone e quella rosanero. Ogni tanto chiudo gli occhi e mi rivedo a Genova, oppure al “Barbera”…».
Perché passò al Genoa? «Il Palermo aveva necessità di bilancio. Andai via con dispiacere perché avrei voluto continuare nella mia città però mi rendevo conto delle esigenze di Barbera che per me era come un padre. Mi disse: “Abbiamo bisogno di venderti…”. Per lui questo ed altro. Poi, fu lo stesso presidente a farmi tornare».
Corini sconfitto a Reggio Calabria, Genoa fermato dal Parma. «Mi aspetto già la sua domanda: per chi tiferà? Mi piacerebbe che entrambe salissero in A, il mio cuore è metà palermitano e metà genoano. Perdonatemi se non vado oltre. Sarebbe impossibile. Troppa commozione! Blessin e Corini sono bravissimi, da top club. Il Palermo a Bari mi è piaciuto, poi si è rinnovato e ora bisognerà avere pazienza. Mi auguro che possa vincere il campionato».