L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sul Palermo in ritiro a Manchester.
Dicono che i calciatori hanno pelle di serpente e cuore di latta. Può essere. Di sicuro molti si sono abituati a prendere tutto con scetticismo. Per far viaggiare i muscoli a piena velocità, devi smorzare le oscillazioni interiori. Però fanno questo mestiere acido con passione. Almeno, cominciano a farlo ascoltando gioie e desideri. Da ieri, e per i prossimi tre giorni, il Palermo sale dalla Serie B italiana al campo di allenamento del Manchester City.
Significa non soltanto erba da giardino signorile, acceleratori di crescita accesi per proteggere il tappeto dal freddo inglese che comincia a imbastardirsi, guglie di acciaio e cupole di vetro all’orizzonte. Significa soprattutto fare un giro dove allena di solito Pep Guardiola, sfonda Erling Haaland e palleggia Kevin De Bruyne.
«E per chi gioca al calcio non può essere la stessa cosa di tutti i giorni», dice Jacopo Segre, centrocampista venticinquenne cresciuto tra Milan e Torino. Il Palermo in estate è stato rilevato dal City Football Group, invenzione da oltre 650 milioni di euro che mette insieme a corona del Manchester City altre squadre cooptate in giro per il mondo. Non colonie e neppure semplici club satelliti, ma di certo il tutto forma una rete che raccoglie introiti e progetti di stampo globale.
Ma qui stiamo parlando di emozione, non di mercato.
Parti da Palermo, con ventisette gradi, e arrivi a Manchester con quindici in discesa. E l’ombra delle nuvole che ti plana sulla testa. Non importa. Guardi in alto lo stesso. Eugenio Corini, allenatore preso al volo in un momento di confusione, non intende mollare la presa sulla squadra, dovunque ci si trovi, in Sicilia come in Gran Bretagna. I terreni di allenamento sono gli stessi in ogni luogo, assorbono lo stesso sudore e i medesimi brontolii. Solo che qui al Manchester City Academy Stadium i campi disponibili sono sedici, anzi, sedici e mezzo: per chi l’ha voluto è un punto d’onore che si conti pure quella frazione di terreno dove si studiano schemi e si sperimentano tattiche particolari.
Passi in mezzo a prati che alle diciannove sono pieni di bambini, ragazzi, adolescenti che giocano al calcio. È una basilica con il rumore dei rimbalzi e dei calci al posto dell’organo. I giovani che si allenano qualcuno li avrà di sicuro registrati, ma il numero è sepolto in qualche scartoffia. «Sono tanti», è tutto quello che sanno dirti. Città di calcio, Manchester. Una volta unita sotto lo United, adesso divisa in due come un’anima. Dopo la sosta per le Nazionali c’è il derby e tutti lo aspettano per sparlarne subito dopo. Niente di meglio che una chiacchierata sul calcio e sulla pioggia, dicono da queste parti.
Non puoi calpestare l’erba. Non con scarpe da passeggio. Va lasciata masticare dagli scarpini. Si passa solo sulla striscia di prato sintetico intorno. Il Palermo va sul campo dove di solito si allena il City di Guardiola e dimentica, per un’ora e mezzo, di essere dove è. Adesso si lavora. Per godersi la sensazione di qualcosa di vibrante hanno tempo prima e dopo. Accanto all’Academy c’è l’Etihad Stadium, dove il City disputa le sue partite e disputerà il derby suddetto, il 2 ottobre. Non è un’astronave o forse è un’astronave caduta, ingrigita dagli anni. Il campus è un’altra cosa: lucido di cristallo, colorato da dipinti murali che celebrano il gioco, l’energia giovanile, l’inclusione. Pop fuori, brillante di parquet e plastica trasparente dentro. Ovviamente: è un posto in cui si coltiva il futuro e il Palermo ne fa parte.